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Si fanno più gravi gli attacchi dei lupi nel comasco

(20.08.17) Dopo la Valbrembana,  dove un lupo nelle scorse settimane ha ucciso in ripetuti attacchi 26 pecore , arrivano notizie allarmanti dal comasco. Qui in val Cavargna, 30 capre risultano morte o disperse a seguito dell’attacco di un branco. Insieme alle notizie che arrivano dalla montagna veneta questi episodi indicano che è in atto una vera e propria escalation. Che condurrà ad una conflittualità come mai si era vista prima in Italia. Le avvisaglie si hanno già in Lessinia dove la situazione è letteralmente scoppiata al partito del lupo e alle istituzioni (come è successo in Trentino con Life Ursus). Ma un nuovo fronte caldo sta nascendo in Lombardia.

L’estate 2017 segna una svolta nella vicenda della reintroduzione del lupo sulle Alpi. I branchi aumentano in rapidissima progressione (5 solo in Veneto, da uno che erano – “ufficialmente” – sino a soli due anni fa. Ma come stanno le cose in Lombardia, regione sino ad oggi solo marginalmente colpita dagli attacchi del lupo agli animali domestici?

Il lupo in Lombardia: una presenza che risale a decenni fa, ma che solo oggi diventa palese e impattante

Il ritorno del lupo sull’Appennino pavese data a quarant’anni fa.  I branchi, però, sono decisamente aumentati negli ultimi anni. Hanno causato gravi danni nel 2014 a Rocca Susella ad un pastore transumante con la perdita di decine di pecore, per la maggior parte cadute – per il terrore –  nel torrente Staffora e trascinate sino al Po.   I lupi appenninici si spingono sempre più spesso in pianura dove, nel parco regionale del Ticino, tra le province di Pavia e di Milano, si è già formato un branco  (non ancora “ufficiale” ma è ammessa la presenza di una coppia e vi sono stati avvistamenti).

Tra le province di Sondrio, Bergamo e Brescia la presenza del lupo (specie nella zona del Mortirolo) è segnalata dal 1999.  Negli ultimi anni gli avvistamenti si sono intensificati e, quest’anno, a un lupo è stata attribuita, per la prima volta, una sigla (So M01,  maschio  n.1 della provincia di Sondrio) e una carta di identità genetica. Con molte probabilità sulle Orobie il branco si è già costituito anche se, come al solito, i parchi, le province (Bergamo e Sondrio) e WolfAlp, tengono tutto ben nascosto secondo una prassi sistematica di “opacità” (per non dire peggio).

Quanto al resto della provincia di Sondrio (Valchiavenna, area di Tirano e Ponte) le presenze sono ancora meno sistematiche anche se da anni vi sono avvistamenti e sporadiche predazioni (quest’anno almeno tre denunce). Preoccupa la presenza di un branco nel canton Grigioni (anche se non in prossimità dei confini), formatosi tre anni fa. Intanto il lupo che ha colpito a Foppolo pare si sia spostato in val Cervia dove avrebbe predato una decina di ovicaprini. Non vi sono conferme ma la notizia rimbalza tra Foppolo e Cedrasco. Silenzio tombale, anche in questo caso, da parte della provincia di Sondrio e del Parco. Non si vuole fare allarmismo. Popolazioni e allevatori devono fare la fine della rana bollita: assuefarsi a poco a poco all’idea del lupo senza reagire. Tutti (nella politica lombarda) continuano, per ora,  a inneggiare al lupo e alla biodiversità di cui sarebbe il campione (secondo un mantra trito e ritrito che ha molto a che fare con la propaganda di stile nazionalsocialista e poco con l’ecologia). Quando le predazioni aumentano le banderuole gireranno dove il vento dell’opportunismo politico suggerirà di riorientarsi (vedi i salti mortali tripli carpiati della Regione Veneto).

I protettori del lupo tengono il più possibile a lungo nascosta la realtà: le vittime sono complici dei carnefici

Le istituzioni cercano di tenere nascosta la presenza dei lupi aiutati da quegli allevatori e pastori che pensano di “risolvere il problema in silenzio” (o che semplicemente non hanno nessuno cui affidare gli animali o cui far svolgere i lavori agricoli e che non possono permettersi di perdere mezze giornate con le denunce e le procedure). Come abbiamo avuto modo di riferire nell’articolo della scorsa settimana sulle predazioni a Foppolo, è stato solo grazie alle fototrappole piazzate da un giovane pastore (che ha riferito direttamente ai media dell’accaduto) se gli attacchi in val Brembana sono stati resi pubblici (prima da Ruralpini, a ruota da Eco e Bergamonews che avevano il nostro comunicato).

Del resto anche la presenza dei lupo nel parco del Ticino è stata svelata solo grazie alle fototrappole posizionate da un pastore che aveva “beccato” la lupa a maggio e che aveva subito in due occasioni la perdita di agnelli.  Nel comasco, nella val Cavargna e nella valle Albano (valli tra Lario e Ceresio), sporadici danni si registrano a partire da 2012. Anche quest’anno c’è stata una denuncia a Dosso del Liro. Il branco della val Morobbia, valle che è in comunicazione con il Lario attraverso il passo di San Jorio, è già alla terza cucciolata (nella foto sotto, dell’ufficio caccia e pesca del canton Ticino, l’ultima cucciolata di quattro lupacchiotti).

Anche ammesso che qualche giovane delle cucciolate precedenti sia morto per cause naturali o per il controllo (un controllo “fai da te” ma reso necessario dalla latitanza delle istituzioni), c’è da credere che i primi nati, che hanno già raggiunta la maturità sessuale (hanno due anni e mezzo) si stiano disperdendo e possano mettere su la loro nuova famiglia. Quindi i guai grossi iniziano ora. Allevatore, cacciatore, pastore avvisato mezzo salvato.

La coppia “originaria” di lupi è stata fototrappolata dalla polizia provinciale a dicembre 2015, dopo che nell’estate al confine tra la val Cavargna e la Svizzera un gregge di 120 ovini aveva subito 43 perdite.

Il branco iniziale della val Morobbia è  nel suo comportamento transfrontaliero (come, del resto,  quelli al confine tra Piemonte e Francia), ma chi impedisce ai nuovi branchi di insediarsi stabilmente nelle valli del Lario e del Ceresio? Nessuno (tranne i pastori, gli allevatori, i cacciatori, ovviamente ma sempre operando, per forza maggiore, fuori da una legalità ingiusta).

L’ultima predazione in val Cavagna

Sabato 19 agosto è apparsa su la Provincia di Como la notizia del più grave attacco da parte dei lupi mai avvenuto (da un secolo in qua) in provincia di Como (una trentina di capi caprini tra uccisi e dispersi). A dare la notizia l’alpeggiatore, Carlo Panatti e il sindaco di Cusino, Francesco Curti (anche lui allevatore di capre). Questo attacco,  a parte i numeri, è grave perché colpisce animali in lattazione, caricati presso l’alpe di Rozzo, il fiore all’occhiello del comune di Cusino che, negli anni, ha effettuato importanti investimenti per il miglioramento delle strutture e delle infrastrutture dell’alpe, Non solo a supporto dell’attività zootecnica e casearia, ma anche in funzione dello sviluppo ecoturistico. Ma che ecoturismo può svilupparsi se scorazzano branchi di lupi, prevedibilmente presto contrastati da mute di aggressivi cani mastini da difesa? Nessuno perché i fanatici del lupo sono quattro gatti e hanno un sacco di posti in Italia e nel mondo dove esercitare la loro spesso morbosa passione.

Purtroppo la gente di città, che dice di amare gli animali, vede nelle conseguenze della predazione solo un danno economico: “tanto ve le risarciscono, di cosa vi lamentate”. Rispetto alla sofferenza degli animali domestici predati scatta un meccanismo che blocca ogni reazione di compassione, mentre lo stesso filtro ideologico provoca l’amplificazione esasperata dei sentimenti a favore dei grandi predatori. Solo le immagini più crude riescono a smuovere l’indifferenza degli “amici degli animali”. Per questo sono accuratamente censurate sui media e persino sui social. Ecco perché è giusto far vedere le immagini che l’allevatore ha scattato alle sue capre morte, ferite, moribonde.

L’episodio di predazione in val Cavagna è stato reso pubblico sabato scorso, quando le guardie della polizia provinciale si sono recate in loco per i rilievi (hanno anche eseguito dei tamponi per ricavare materiale biologico utile alle analisi del dna). Ma le perdite si riferiscono ad una serie di ripetuti attacchi serali che  sono iniziati già alla fine di luglio. L’allevatore ha  visto scomparire per primi alcuni capretti.  I capretti,  si sa, tendono facilmente a smarrirsi seguendo degli escursionisti o  perdendo il contatto con il gregge.  Così Carlo Panatti  si è recato per cercarli sugli alpeggi di Garzeno, la località – famosa, specie  la frazione Catasco –  per l’allevamento caprino e i formaggi caprini. Garzeno è nella valle Albano, al di là della cima del monte Bregagno.


Sopra l’area tra la val Cavagna e la valle Albano dove si sono verificati gli attacchi dei lupi. Sotto la sua individuazione nell’area lariana

Grande è stata la preoccupazione di Carlo Panatti quando ha appreso dai caprai di Garzeno che anche a loro erano spariti capretti, attribuendo la causa ai lupi. Dopo qualche giorno gli attacchi si sono verificati sui pascoli di Rozzo, ripetuti a distanza di due giorni nelle ore serali. In alcuni casi l’allevatore si è accorto dell’attacco in atto dai belati disperati e dallo strepito dei campani causato da fughe precipitose, ma in occasione dell’ultimo attacco l’allevatore ha anche scorto tre sagome di lupo. A questo punto è stata fatta la segnalazione alla polizia provinciale e le guardie e i veterinari della Ats sono venuti a constatare le lesioni sulle carcasse. L’allevatore si è anche preoccupato di documentare fotograficamente la presenza di orme e di fatte. Ma perché se non diventi Sherlok Holmes non sei creduto. Che logica c’è nel mettere a capo del danneggiato l’onere della prova?E ci si domanda anche se tutto ciò sia legittimo o un abuso.

Le circostanze della predazione non lasciano margine di dubbio sulla responsabilità dei lupo. L’analisi del dna più che confermarla tenderà semmai a individuare l’identità dei singoli soggetti responsabili per capire come si sta evolvendo il branco (o i branchi).

Impossibile tenere le capre rinchiuse di notte

Con estate caldi come questa anche a quote non troppo basse si deve adottare il pascolo serale. Di giorno le capre riposano – in luogo protetto – all’ombra della sòstra (foto sotto di fine giugno), di sera vanno a pascolare al fresco. Quando gli ambiental-animalisti, e i politici che tendono a blandirli, sostengono che si può “convivere con il lupo” dimenticano tante circostanze basilari:

1) il lupo era molto meno spavaldo perché sapeva che attacchi aperti ai greggi potevano concludersi male per lui, pertanto colpiva nel modo più rapido e furtivo limitando di necessità i danni; 2) il clima era più fresco e anche a quote basse si poteva pascolare di giorno quando la sorveglianza è più facile; 3) esisteva ampia disponibilità di manodopera, di caprai giovani e meno giovani  che di giorno seguivano il gregge anche sui terreni più impervi.

Oggi, se oltre ad adottare anche ulteriori metodi di prevenzione (le mute di cani da difesa in aree di frequentazione turistica, come la montagna lariana, sono comunque problematiche) non si contiene  anche la diffusione del predatore molti pascoli sono destinati all’abbandono. Ma senza  l’utilizzo dei pascoli l’allevamento e l’agricoltura di queste valli non possono stare in piedi.

Non mi interessa l’indennizzo

Parlando con Carlo Panatti colpisce come egli insista nel dichiarare che per lui l’indennizzo è la cosa meno importante. Pensa ad altre conseguenze, che nessuno può compensare. Vala la pena spiegare agli animalisti ignoranti che blaterano di “compensazioni” che l’indennizzo non compensa il danneggiato ristabilendo la situazione precedente al danno. Per il solo fatto che ciò è spesso impossibile. L’indennizzo consiste in un intervento riparatore di carattere economico non necessariamente commisurato alla effettiva entità del danno sopportato dall’avente diritto, ma agganciato a parametri prestabiliti per legge o per contratto. Senza fare riferimento all’ovvio caso degli indennizzi corrisposti ai parenti della vittima di un incidente o di un omicidio, va richiamato che – anche nel caso degli indennizzi dovuti agli allevatori per le perdite subite dai predatori – il tipo di “riparazione” dipende dalle clausole del contratto che la Regione Lombardia, come altre, ha sottoscritto tramite un brooker con una compagnia assicurativa. Un contratto di copertura dei rischi per questo tipo particolare di “sinistro” ma che come tutti i contratti assicurativi mira a limitare le cifre liquidate. Va precisato che la Regione , nel venire parzialmente incontro agli allevatori, non fa altro che assumersi le responsabilità che derivano dall’essere responsabile della fauna selvatica dal momento che essa è, per l’ordinamento italiano “proprietà indisponibile dello stato” e che tutta la materia (fauna e agricoltura) è di competenza esclusiva delle regioni come chiaramente stabilito dalla costituzione e dalle leggi vigenti. I lupi sono della Regione Lombardia, sia chiaro. Essa, però, per risparmiare aveva inizialmente fissato un massimale di 4 mila € per gli indennizzi, elevato a 6,5 mila € nel 2016. Una sottovalutazione delle conseguenze dell’aumento della presenza dei grandi predatori.

Vi è poi una “franchigia implicita”. Il tempo richiesto per le pratiche, per assistere alle verifiche di guardie e veterinari non giustifica la richiesta di indennizzo per pocchi capi. Così molte predazioni passano inosservate. Spesso anche perché – come già sopra osservato, il pastore preferisce cercare di risolvere il problema da solo, senza clamore. Ma così fa il gioco della lobby del lupo.

Procedure e linguaggi burocratici

La presenza di un massimale in caso di attacchi a bovini e a un numero consistente di ovicaprini, non può coprire il semplice danno della perdita dei capi. Non vi è poi alcun considerazione per le perdite produttive, gli aborti, la morbilità indotta, le cure veterinarie. Viene  aggiunto, oltre ai costi di smaltimento (obbligatorio) delle carcasse,  un 15% del “costo di acquisto” .. quale “contributo” per il disagio ed il disappunto degli animali al recepimento del nuovo contesto. Un modo un po’ singolare e arzigogolato per indicare un “disagio” che è certo degli animali (che, però, dei soldi non sanno cosa farsene), ma anche degli allevatori, per i quali è certamente meno semplice accudire animali non nati nel gregge.

Per molti allevatori, che curano amorevolmente i loro capi, li selezionano accuratamente, studiano i migliori accoppiamenti, nutrono e curano con particolare scrupolo i giovani animali destinati a dar vita a “linee di progenitori”, la perdita dei animali per loro unici, non è compensabile in termini monetari . Un fatto che vale poco o nulla nelle stalle dei grandi numeri  gestite da automatismi e operai e dove la riporoduzione è pianificata dal computrer, ma che conta molto nelle aziende famigliari dove vi è un rapporto personale e affettivo con gli animali. Quando Carlo Panatti sottolinea di non essere interessato all’indennizzo fa presente che “ci vogliono due anni per allevare una capra”. Gli animali non sono pezzi di ricambio intercambiabili, pupazzi, delle macchinette come suppone la mentalità urbana condizionata dalla civiltà industriale e consumistica.

Il danno alla produzione di latte e formaggi … e alla famiglia

Le capre sopravvissute, alcune ferite leggermente e curate con antibiotici (con i loro tempi di sospensione che costringono a gettare via il atte), ma anche le altre, fortemente stressate, hanno ovviamente calato la produzione di latte. Venendo meno il latte degli animali uccisi e dispersi, mancando gli animali di alcuni piccoli proprietari che, spaventati, hanno riportato a valle le loro capre, calata la produzione delle capre rimaste (un calo che, dopo la metà di agosto, non potrà più  essere recuperato), il latte da lavorare è crollato e la produzione di formaggi anche. Un danno serio per la piccola azienda di Carlo Panatti e della moglie Simona Maffioli che, tutte le settimane, partecipa ai mercatini contadini della provincia di Como. Per una piccola azienda che si regge sulla vendita diretta restare con poco prodotto significa perdere clienti. Tutte conseguenze “collaterali” che le assicurazioni, la regione, gli ambiental-animalisti da salotto e da tavolino ignorano. Un attacco predatorio ad un’azienda famigliare porta anche ad altre conseguenze, scompiglia programmi e abitudini. “Dopo due anni che non andiamo volevo portare le bambine al mare qualche giorno, ma come faccio in questa situazione a lasciare su mio suocero e l’aiutante straniero?”.

Lo sguardo triste ma dolce di una capra ferita. Il lupo non è riuscito ad approfondire le zanne nel collo limitandosi a lacerare la pelle e il “pendente”. Pare che dica: “Perché voi che dite di amare gli animali mi odiate tanto? Perché godete se mi sbranano i lupi per i quali fate tranto il tifo. Non sono anch’io un animale, non ho diritto di vivere, di pascolare senza il terrore del lupo?”.

E ora?

Dopo tanti “assaggi” sanguinosi l’estate 2017 segna l’escalation degli attacchi da lupo sulle Alpi centro-orientali. Violentissima in Veneto, seria anche in Lombardia. Le conseguenze politiche non saranno indolori: la regione Veneto annaspa tra dietro front,  annunci di ritiri da WolfAlp, dichiarazioni contraddittorie di Zaia, pose di recinzioni alte 120 cm che fanno ridere i polli. Zaia riesce, nella stessa dichiarazione, a dire che “i lupi stanno distruggendo l’ecosistema della montagna veneta” ma anche che “sono intoccabili”, facendo finta di dimenticare che questa primavera la Regione Veneto, rimangiandosi il parere favorevole precedentemente espresso, ha bocciato (per via delle pressioni animal-ambientaliste) il piano lupo redatto da Boitani e sostenuto dalla lupologia meno estremista che prevedeva un limitatissimo controllo del predatore. La regione a guida leghista questa volta non può prendersela con Roma , con un ministro dell’ambiente che continua a sostenere che la fine della protezione assoluta del lupo è necessaria perché ci sono aziende zootecniche che stanno chiudendo per una pressione predatoria insostenibile. Le istituzioni vanno in tilt e scontentano tutti (come avvenuto per il progetto Life Ursus in Trentino).

Zaia sul lupo non sa più che pesci pigliare

In Veneto e Lombardia il lupo può impattare molto più pesantemente del Piemonte. Considerazioni estranee alla lupologia “scientifica” che astrae completamente da considerazioni territoriali, sociale, economiche e vede solo nelle Alpi un territorio “vocato”.  A livello di singole aziende, che in Piemonte soffrono numerose il problema, l’impatto è forte ma a livello di sistema non provoca reazioni al di sopra della soglia di criticità.  A Cuneo e Torino le lunghe valli alpine sono spopolate e poco comunicanti tra loro e molta della zootecnia estensiva e d’alpeggio è indirizzata alla carne non coinvolgendo filiere e, per sua sfortuna, godendo di accrediti politici blandi. Conta moltissimo, però, anche la gradualità e la mancanza di trasparenza con la quale si è accompagnata l’affermazione della presenza del lupo in Piemonte .

Le Alpi centro-orientali, al contrario,  sono un sistema territoriale più denso e connesso, più antropizzato, dove la “rinaturalizzazione” imposta dell’ecototalitarismo comporta conflitti sociali più acuti e mette in campo forze molto più agguerrite a difesa di economie zoocasearie e turistiche. In più c’è l’esperienza del Piemonte (e dalla Francia) che ammonisce a non accettare passivamente la proliferazione dei branchi auspicata e favorita da WolfAlp.  Per il partito del lupo la conquista delle Alpi può rappresentare una dura guerra di posizione e un boomerang. Di certo oggi tutta la montagna veneta è in allerta e quella lombarda sta allertandosi. L’avanzata del predatore sarà contrastata e comporterà prezzi da pagare per la lobby del lupo, prezzi che possono mettere in forse anche le posizioni acquisite, le rendite di posizione conquistate quando il lupo era ancora una realtà appenninica e la “campagna delle Alpi” era ancora limitata al Piemonte. Aumentano peraltro anche le spaccature interne al fronte “conservazionista” (o per meglio dire “espansionista”) che, nelle sue componenti meno estremiste, si rende conto dei pericoli per lo stesso lupo di un’avanzata troppo trionfale (vedi la crescente ed estesa ibridazione con il cane domestico e la prospettiva della perdita di identità genetica del lupo italico, ormai non più isolato dalla popolazione lupina balcanica ed ell’Est Europa.

Le lobby ecototalitarie hanno forti interessi alle spalle, desiderosi di desertificare le montagne e di operare un nuovo colonialismo per il controllo del petrolio del futuro, ovvero l’acqua dolce pulita sempre più scarsa, e le altre risorse naturali. Hanno scatenato una guerra per la pulizia etnica di cui gli orsi e i lupi sono solo un tassello, insieme alla burocrazia e al crollo – indotto dalla globalizzazione –  dei prezzi dei prodotti agricoli, zootecnici e forestali.  Ma a differenza degli anonimi meccanismi della burocrazia e della finanza globale i lupi e i loro sostenitori sono attori ben riconoscibili e la  mobilitazione contro la diffusione dei grandi predatori può diventare catalizzatore di una resistenza alpina e rurale più ampia. Per questo la partita è così importante.

Il lupo causa gravi perdite a un gregge della Valbrembana

(11.08.17) A Foppolo, in alta Valbrembana in alcuni giorni di ripetuti attacchi un giovane lupo uccide 26 pecore. Ancora una volta l’onere della prova è a carico del pastore che, per essere creduto, deve posizionare le fototrappole dopo essere stato accusato di essere un bugiardo e un simulatore da alcune delle guardie della polizia provinciale intervenute per gli accertamenti.  Dopo anni di presenza “discreta” del grande carnivoro sulle Orobie anche qui il lupo diventa un incubo per i pastori.

Nessuno tra i pastori (parliamo di quelli veri) si faceva illusioni.  Se la presenza del lupo sulle Orobie non ha – almeno in base a quanto emerso pubblicamente – impattato sul pastoralismo è solo per alcune circostanze favorevoli (abbondanza di prede selvatiche, presenza di greggi custoditi). Oggi la “ricreazione” è finita: anche i pastori e i malghesi delle Orobie si devono confrontare con quella dura realtà che sperimentano da trent’anni i piemontesi e, da qualche anno, i veneti. In Veneto l’arrivo del lupo ha subito dato inizio ad una serie di sanguinosi episodi di predazione a carico  anche di bovini da latte con danni economici pesanti  e la creazione di una situazione di conflitto esplosivo. Oggi si parla di almeno cinque branchi sulle montagne venete.

Un lupo fotografato nel 2014 nella zona del Mortirolo, il passo tra la Valtellinba e l’alta Valcamonica

Una presenza che risale al 1999

Sono almeno 18 anni che il lupo è tornato sulle Orobie ma solo da quest’anno un lupo ha avuto una sigla (So M01,  maschio  n.1 della provincia di Sondrio) e una carta di identità genetica. Mentre le predazioni degli orsi provenienti dal Trentino hanno avuto, negli scorsi anni, ampia pubblicità nelle valli bergamasche e in Valtellina, quelle del lupo o sono state di minore entità o sono passate sotto silenzio per una sorte di “convenzione” tra amici e nemici del lupo.

SoMO1 in un’immagine ottenuta mediante fototrappola nella primavera di quest’anno

I primi fanno di tutto per ridimensionare la presenza e i danni del predatore (in modo che essa possa consolidarsi in assenza di conflitti), i secondi cercano di mantenere il silenzio per attuare un controllo fai da te. Qualcosa si è rotto in questo precario equilibrio.

 

I precedenti in Valbrembana messi a tacere

I sostenitori del ritorno del lupo a tutti i costi ritengono che per la “giusta causa” qualche bugia non sia peccato (o reato). Così i funzionari provinciali e regionali hanno cercato di minimizzare in questi anni la presenza del lupo, per non creare “allarmismo”. In realtà perché seguono la dottrina del tenere nascosta o ridimensionata la presenza dei grandi predatori fin a che diventa consolidata, un fatto irreversibile, che va accettato e subito senza poter discutere. Nel 2015 una lupa era stata fototrappolata ripetute volte in zona monte Ortighera-Val Parina (territorio di Lenna). In alcune immagini si vedeva anche l’animale con un cucciolo. Ma la Regione tentava di tutto per negarlo. Una funzionaria della direzione generale Sistemi verdi e Paesaggio della Regione Lombardia  laureata in agraria e senza competenze specifiche sentenziava: “Potrebbe essere un cane randagio. Servono delle tracce biologiche che, al momento, non abbiamo trovato”.


La lupa fototrappolata in val Parina nel 2015

Un episodio grave che cade in piena stagione d’alpeggio

Gli attacchi sono iniziati alla fine di settimana scorsa, lunedì notte la mattanza peggiore con 16 capi uccisi (qualcuno in fin di vita poi deceduto). Vittime gli ovini di un gregge di 600 capi che pascolano l’alpe Cadelle. Il gregge è in carico a due ragazzi rumeni e a un giovane locale, Alessandro Gherardi, figlio di una comproprietaria dell’alpe che possiede 150 dei 600 ovini. Un ragazzo giovane ma che la montagna  la conosce bene. L’alpe è molto vicina al paese.

All’inizio pareva che il predatore non consumasse le sue vittime, poi qualche carcassa è sparita. Vista la mal parata i due pastori rumeni si sono alzati alla baita alta a oltre 2000 m dove l’assenza di vegetazione arbustiva ed arborea (il pascolo è in mezzo alle rocce) rende più facile la sorveglianza. Però il lupo ha attaccato ancora. Sapendo che le guardie della provincia avrebbero – come di rito, -sostenuto che si trattava di un cane, il pastore ha posizionato una fototrappola presso le carcasse (opportunamente celate alla visione dei turisti). La mossa si è rivelata vincente. Le immagini catturate – sottoposte a più di un (vero) esperto  – non lasciano spazio ai dubbi.

 

È probabile che non si tratti di SO MO1 ma di un soggetto più giovane. Forse nell’area del Mortirolo c’è già un branco e questo è un soggetto in dispersione. nella strategia opaca adottata dalle istituzioni (Parchi e provincie) dettata loro dalle lobby ambientaliste, e osservata in barba agli obblighi di informazione dei cittadini e di imparzialità ideologica di organi e funzionari pubblici, non c’è molto da meravigliarsi. Nel parco del Ticino (vedi articolo di ruralpini) solo a giugno, dopo che un pastore, vittima di attacchi, aveva documentato la presenza dei lupi, è arrivata la mezza ammissione della presenza di una coppia. Ma più segnalazioni da parte di cacciatori concorrono a indicare la presenza di un branco (sono stati avvistati almeno quattro esemplari insieme).

Il pastore da vittima a colpevole

Un comportamento grave sarebbe stato tenuto da una delle guardie (le altre, per la verità si sono comportate in modo corretto) che hanno proceduto alla verifica della predazione. I nomi li conosciamo e, qualora servisse, li pubblicheremo. Una delle guardie a subito messo in discussione l’accaduto uscendosene anche con la parola truffa. Se queste circostanze fossero confermate saremmo di fronte ad una calunnia vera e propria con le aggravanti del caso (pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni). Anche da questo punto di vista nulla di nuovo. Il pastore, la vittima, viene messo sistematicamente sul banco degli imputati per difendere il lupo. Una tecnica da regime totalitario, ben esemplificata dalla denuncia per “maltrattamento di animale” contro Angelo Metlicovez che, a luglio, in comune di Trento è finito all’ospedale con ferite alle gambe e al braccio in seguito all’attacco da parte di un’orsa.   Dai forestali (che per fortuna non esistono più tranne nelle provincie autonome), da alcuni veterinari pubblici, da guardiaparco ecc. In barba ai diritti civili, all’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, agli obblighi dei pubblici ufficiali.

 

Dalle lesioni sul collo della povera pecora si può dedurre che la vittima è stata colpita con modalità tipiche del lupo sia pure con un “lavoro poco pulito” (ovvero con presenza di lesioni non riconducibili a quella mortale). Un quadro compatibile con un soggetto senza grossa esperienza, alle prime armi che deve allenarsi (questo spiega l’overkilling) ovvero l’uccisione di molto più capi rispetto a quelli consumati (che si spiega anche con la frenesia ovinicida scatenata dal comportamento delle prede).

Un animale che non si lascia più intimidire dall’uomo (e che quindi diventa un potenziale pericolo)

Ciò che ha colpito il pastore, e che lo preoccupa, è la quasi totale assenza di timore per l’uomo del soggetto responsabile della predazione. Il lupo, due notti fa, è stato “dissuaso” con urla e un potente fascio di una torca ma si è allontanato di poco. Il pastore l’ha anche “incontrato” lungo un sentiero a distanza di 40 m. Facendosi forza non solo no è arretrato o fuggito ma è avanzato urlando. Il lupo si è allontanato ma con tutta calma e senza scomporsi. Esattamente com dicono gli amici pastori e margari piemontesi che, quest’estate, stanno subendo una serie di attacchi. C’è preoccupazione perché siamo a ferragosto e la montagna non è mai popolata come in questi giorni. Sugli alpeggi sono presenti anche famigliari e bambini che vengono in visita e si trattengono per qualche magari per qualche giorno. Chi nasconde la presenza del lupo , diffonde notizie rassicuranti sul suo comportamento “sono secoli che non mangia gli uomini” (cosa del tutto falsa perché molti bambini sono stati sbranati in India pochi anni fa e in Spagna rapimenti e uccisioni di bambini sono state registrate negli anno ’70 del Novecento, senza dimenticare che casi di bambini ucciso dai lupi si sono verificati in Lombardia ancora agli inizi dell’Ottocento).

Convegno a Saluzzo:non si convive con il lupo

(18.12.2015) Si è svolto a Saluzzo presso l’Antico Palazzo Comunale, nella serata di giovedì 17 dicembre, il convegno “Il lupo sugli alpeggi” organizzato dall’Associazione Difesa Alpeggi Piemonte – Adialpi, per dare voce “a chi vive questa realtà ogni giorno attraverso il proprio lavoro” senza lasciarsi ingannare dalle tante parole (e denaro pubblico) spesi per i progetti sul lupo in Italia, finanziando enti, parchi ed associazioni, senza minimamente curarsi delle difficoltà degli alpeggiatori.
Saluzzo
Ad aprire la serata è stato il Presidente dell’Adialpi, Giovanni Dalmasso margaro di Crissolo, che ha descritto le attività dell’associazione, la lotta alle speculazioni sugli alpeggi che hanno fatto innalzare i canoni di affitto dei pascoli, e l’attuale coinvolgimento nei tavoli della Regione Piemonte sulle scelte della politica agricola.
“Il lupo è una delle tante problematiche degli alpeggiatori – afferma Dalmasso – di cui se ne potrebbe fare volentieri a meno. Anche i nuovi parchi naturali che si stanno insediando in Piemonte non sono altro che un grattacapo per chi lavora in montagna, con nuovi vincoli, regolamenti e difficoltà per chi deve vivere in questo ambiente. La colpa è soprattutto dei sindaci di montagna che non si sono battuti per rappresentare i loro cittadini ma hanno guardato soprattutto al loro interesse.
Il lupo si era estinto dalla nostra regione agli inizi del ‘900, poi è stato reintrodotto, ora è tornato a creare danni, ad attaccare le mandrie e i greggi, mettendo in difficoltà i pochi allevatori rimasti sulle nostre valli.
E mentre si continuano a  sprecare milioni di euro per finanziare i numerosi progetti lupo come Wolfalps, i margari sono lasciati sempre più soli, incapaci di difendersi; gli stessi sistemi di difesa sono inefficaci: il lupo continua a predare gli animali, i cani da guardiani sono pericolosi per i turisti e i risarcimenti non sono sufficienti a pagare i danni subiti. Il nuovo Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia presentato dall’Unione Zoologica Italiana lo scorso 19 ottobre su incarico del Ministero dell’Ambiente è un altro esempio di errata gestione del problema, creato da un gruppo di esperti di lupi ma inevitabilmente inesperti in pastorizia. Stiamo rischiando di mettere a rischio il futuro dei pastori e di conseguenza, mancando il loro lavoro nella conservazione del territorio, avremo gravi danni per l’ambiente.”
L’intervento del professor Michele Corti, docente di zootecnia montana presso l’Università di Milano e rappresentante dei pastori lombardi, ha analizzato la diffusione del lupo non solo sulle Alpi e sugli Appennini ma a livello europeo è possibile notare, negli ultimi decenni, una grande diffusione del predatore. A differenza dell’Italia però, in quasi tutti gli altri Paesi sono stati autorizzati degli abbattimenti in seguito alle richieste del settore agricolo. Il lupo viene cacciato in Svizzera, Francia, Svezia e molti altri stati, nonostante il predatore sia tra le specie specialmente protette dalla convenzione di Berna e dalla direttiva Habitat.
“In Italia – spiega il professor Corti – sembra che l’abbattimento del lupo sia una parola da non pronunciare assolutamente, impossibile da realizzare in quanto la legislazione non lo permette. Il lupo ha trovato nelle nostre montagna un territorio pieno di cibo, in cui nessuno gli fa del male: il paradiso. Mentre per i pastori questa situazione si sta trasformando in un inferno. Ma è poi vero che il lupo è l’unica cosa importante e tutelata? Esistono molte altre convenzioni internazionali volte a tutelare le pratiche agricole, la biodiversità delle razze animali autoctone, la cultura locale, oltre a norme fondamentali che tutelano la sicurezza, la liberta economica, la proprietà. Tutte queste tutele, sono diritti che vanno difesi: non si può dare come unica priorità la conservazione del lupo ma serve il giusto compromesso.
Intanto il lupo sta arrivando in pianura e vicino alle grandi città mentre sui pascoli la situazione è insostenibile: le recinzioni non bastano, il lupo non si mangia solo le pecore ma in alcuni casi si sbrana addirittura il cane da guardia, gli indennizzi sono troppo bassi, spesso non concessi.
Le conseguenze? I pastori si stufano di denunciare le predazioni, molti alpeggi non vengono più pascolati, le misure di difesa si scontrano con il corretto utilizzo dei pascoli e il benessere animale.
Le soluzioni? Coordinare gli allevatori delle diverse zone interessate dal ritorno del lupo in Italia (Piemonte, Veneto, Toscana,..) e in Europa per scambiarsi informazioni, agire con azioni politiche e legali, mettere in atto progetti pro-pascoli, turismo rurale, prodotti, cultura alpina. Fare in modo che non siano le Alpi del lupo ma le Alpi dell’uomo.”
Il Presidente di Alte Terre, Giorgio Alifredi, in quanto allevatore della Valle Maira ha espresso la sua volontà nel potersi difendere in caso di attacchi: “Finché esiste l’allevamento e la pastorizia dobbiamo poter difendere i nostri animali dagli attacchi. Non pensate che il pastore abbia il tempo di andare a caccia del lupo, ma nel momento in cui un predatore attacca il gregge devo poterlo allontanare, non posso stare a guardare mentre si sbrana i miei animali, il mio lavoro.”
Alifredi ha poi esposto il “manifesto antilupo” redatto dalle associazioni AlteTerre e Adialpi con il quale si vuole portare alla politica europea quali sono le difficoltà che ha recato il ritorno del lupo sulle Alpi e quali provvedimenti occorre attuare per far si che la pastorizia non scompaia dalle nostre montagne. “L’unica soluzione efficace – riporta il documento – per risolvere a lungo termine il conflitto tra predatori e gente di montagna  è mettere in discussione la Direttiva Habitat e uscire dalla Convenzione di Berna: in effetti, la vera specie che rischia ormai l’estinzione sulle Alpi non è certo il lupo, ma l’essere umano, in particolare il contadino e la sua famiglia!”
Tra gli interventi anche Daniele Massella, allevatore della Lessinia in Veneto, che descrive la situazione delle vallate veronesi dopo l’arrivo dei lupi: “Sugli alpeggi ci sono meno animali perché molti malgari non si fidano più a lasciare le vacche al pascolo, preferiscono tenerle in stalla, nonostante i costi più elevati. I risarcimenti non sono abbastanza alti, non si tiene conto del giusto valore genetico degli animali. La convivenza tra lupi e zootecnia è impossibile: occorre cambiare le leggi che lo tutelano altrimenti gli allevatori scompariranno dalle nostre montagne.”
Aiassa Tiziano, margaro di Limone Piemonte ha descritto la sua situazione: “Sono un allevatore di bovini di razza Piemontese. In cinque anni ho subito 30 perdite per attacco da lupo. I primi anni mi venivano risarciti. Ultimamente nemmeno quello: i veterinari dell’Asl, incaricati di fare le perizie delle predazioni in campo, non vogliono attestare che si tratta di attacchi da lupo e gli animali oltre i 3 anni non sono comunque indennizzati. Oltre al danno, veniamo messi in dubbio delle nostre dichiarazioni. Serve una controperizia oltre a quella dell’Asl per i casi in cui questa non sia sufficiente.”
Il sostegno all’iniziativa dell’Adialpi è arrivato anche dal vicepresidente di Federcaccia Piemonte,  Alessandro Bassignana che afferma: “Il lupo c’è e lo vediamo, si sta avvicinando alle città. In montagna il numero di animali selvatici è notevolmente diminuito dopo il ritorno del lupo. Sulla questione del ripopolamento e della sua possibile reintroduzione posso dire che, se il lupo delle Alpi dovrebbe teoricamente essere arrivato dagli Appennini, non si spiega il fatto che gli avvistamenti siano avvenuti diversi anni prima nel torinese che in Liguria.”
Pierangelo Cena di CIA Torino ha ribadito il suo appoggio alle iniziative per difendere l’attività dei margari sugli alpeggi: “Come organizzazione agricola ci siamo già impegnati nella raccolta firme contro il lupo sugli alpeggi. Siamo disponibili ad eventuali proposte. Il lupo ormai non è più in pericolo di estinzione, noi riteniamo servano nuove azioni per gestire il problema.”
Dal punto di vista politico, oltre agli interventi di vari sindaci locali che hanno sottolineato il loro ruolo all’interno del Coordinamento Gente di Montagna nato proprio per rappresentare le diverse problematiche del territorio alpino, è intervenuto Emiliano Cardia, rappresentante della segreteria dell’europarlamentare Alberto Cirio, che ha sottolineato la necessità di coordinare le proposte e le forze delle diverse associazioni agricole e di categoria affinché ci possa essere un fronte unico di proposte da avanzare alla politica. Sono infatti i politici che rappresentano il territorio che hanno il dovere e la possibilità di cambiare le regole laddove ci sono delle problematiche.
In conclusione della serata il Presidente Giovanni Dalmasso ha ricordato l’importanza di tutelare chi lavora in montagna, in particolare gli allevatori che svolgono un ruolo fondamentale nella conservazione del territorio. Sulle nostre vallate non serve il lupo ma chi è indispensabile è l’uomo.
“Come associazione dei margari – conclude Dalmasso – continueremo a farci sentire per ottenere delle misure utili a difendere il nostro lavoro, collaborando con gli alpeggiatori anche delle altre regioni e portando alla politica le nostre proposte. Noi le idee le abbiamo chiare, dobbiamo solo far capire agli altri le nostre ragioni prima che tutti gli alpeggiatori se ne vadano dalle montagne.”
manifesto antilupo piemontese
I pastori, allevatori, margari, contadini e gente comune della montagna piemontese,
firmatari dell’appello No  Parchi, no lupi! diffuso tra le valli nell’autunno 2015, dichiarano
con forza quanto segue:
  • il ritorno “naturale” dei lupi sulle Alpi è un racconto propagandistico. Un’analisi genetica accurata e soprattutto indipendente potrebbe facilmente dimostrare l’origine est-europea della gran parte della popolazione di lupi alpini.
    I pochi lupi rimasti in Abruzzo negli anni settanta all’interno del Parco nazionale si sono diffusi sugli  Appennini, ma non spiegano la comparsa improvvisa nei primi anni novanta di lupi sulle Alpi marittime tra Italia e Francia (quando la Liguria ne era ancora del tutto priva), dapprima solo all’interno o in prossimità dei due Parchi regionali delle Marittime e del Mercantour, né tantomeno analoghe presenze negli stessi anni nel Parco di Salbertrand in Valle Susa. Per anni la presenza fu negata e le predazioni attribuite a cani rinselvatichiti, fenomeno mai esistito sulle Alpi occidentali.
  • lupi e pastorizia non possono coesistere nello stesso areale: i predatori vanno allontanati dalle zone di pascolo delle Alpi
  • i lupi compromettendo il pastoralismo favoriscono l’avanzare dei boschi e riducono la biodiversità dei pascoli alpini;
  • lupi non più abituati ad essere cacciati dall’uomo diventano col tempo una minaccia reale alla vita umana (e non solo per i pochi montanari ma anche per i numerosi escursionisti);
  • l’uccisione, ora illegale, di lupi non è bracconaggio, ma legittima difesa della persona e degli animali. Occorre riconoscere il diritto naturale dell’allevatore alla difesa armata del proprio bestiame all’interno dei propri pascoli!
  • la colonizzazione dei lupi sull’intero arco alpino, auspicata e pianificata dal recente Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia, redatto dall’Unione Zoologica Italiana per il Ministero dell’Ambiente, è un progetto folle e delirante per chi in montagna lo subisce, ma che nasconde interessi concreti di soldi e finanziamenti per chi lo propone;
  • I “Parchi naturali” sono lo strumento amministrativo con il quale tali politiche falsamente ambientaliste vengono imposte alle comunità locali: vanno semplicemente aboliti, risparmiando risorse che potrebbero impiegarsi in modo ben più proficuo per la tutela dell’ecosistema e del paesaggio alpino, da secoli incentrate sull’opera dell’uomo contadino;
  • la responsabilità ultima della colonizzazione dei grandi predatori sulle Alpi ricade sulle politiche europee. L’unica soluzione efficace per risolvere a lungo termine il conflitto tra predatori e gente di montagna  è mettere in discussione la Direttiva Habitat e uscire dalla Convenzione di Berna: in effetti, la vera specie che rischia ormai l’estinzione sulle Alpi non è certo il lupo, ma l’essere umano, in particolare il contadino e la sua famiglia!

Scienziati francesi con i pastori (contro i lupi)

Pubblicata il 13 ottobre 2014 sul quotidiano francese Liberation e sottoscritta anche da Carlin Petrini, fondatore di Slow Food

(qui l’originale in francese)

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Appello perché gli ecosistemi non siano abbandonati dai pastori

I nostri paesaggi emblematici di montagne, colline e paludi sono costituiti di un mosaico di ambienti operato nel corso dei secoli dalle pratiche contadine. La vitalità di questi spazi, sempre più apprezzati dalle nostre società urbanizzate, si degrada velocemente quando non sono più mantenuti e curati per il pascolo delle greggi. Ora, in numerose regioni, le greggi subiscono l’assalto dei lupi. Cosa fare? La gravità della situazione richiede l’adozione di misure di emergenza, sul terreno come nel campo normativo. Giudicati in pericolo di estinzione in Europa, i lupi sono una specie rigorosamente protetta. Nel Grande Nord americano come eurasiano, sono considerati come ” specie chiave di volta”  degli ecosistemi, bio-indicatori di una natura tornata o rimasta selvaggia. In Francia, dove la geografia e la storia sono molto diverse, i lupi manifestano il loro comportamento opportunista. Secondo le opportunità, trascurano la loro funzione di “regolatore” degli animali selvaggi, indeboliti o malati, e si attaccano frequentemente alle greggi di allevamento in perfetta salute.

In modo paradossale, è l’allevamento pastorale, una delle nostre agricolture più rispettose della biodiversità, inoltre riconosciuta come produttrice di una varietà di servizi ecosistemici, che i lupi, adornati dello statuto di protezione rigorosa, stanno minacciando di far sparire.

Dal 1992, delle direttive europee si adoperano a promuovere la gestione degli ambienti agropastorali che hanno resistito alle banalizzazione e artificializzazione dei paesaggi per colpa dell’agricoltura convenzionale. Infatti, numerose specie notevoli vi hanno trovato rifugio:  coturnìce, pernice, stambecco, gipeto….

I mosaici di prati, lande e prati-boschi, tenuti dal pascolamento, offrono e rinnovano un’ampia gamma di bellezze a chi apprezza anche piante a fiori, insetti, rettili e batraciani. Questa biodiversità è anche domestica, con, tra altre, le pecore raïoles, brigasques emourerous, le capre del Rove e del Poitou, che gli allevatori si danno da fare per conservarle.

Nei parchi nazionali e regionali, nelle riserve e nella natura ordinaria, la preservazione delle biodiversità selvagge e domestiche è un unico e stesso combattimento. La sfida è diventata nazionale. Insediati dovunque nelle Alpi, i lupi hanno ormai raggiunto il Giura, i Vosgi, l’est dei Pirenei, arrivano nell’Ardèche, nella Lozère, nel Cantal e Aveyron, nelle pianure delle Regione Champagne e Lorraine.

Nel 2014, i conteggi ufficiali indicano ventisette branchi di lupi, i due terzi dei quali nelle Alpi del Sud. La popolazione è di 300 lupi adulti, in più di una ventina di dipartimenti francesi, con una crescita di 20% per anno.

Ogni anno, le perdite ufficiali ammontano a venti/venticinque pecore o capre uccise in media da un lupo adulto, ciò è considerevole. Gli attacchi si estendono poi ai vitelli, giovenche, e cavalli. Questi attacchi si svolgono sugli alpeggi, ma anche nelle lande e collinette delle valli, nel sottobosco, e fino sui prati.

Come si è arrivato a questo punto ? Si deve imputare questo flusso crescente delle perdite all’inerzia degli allevatori ? Questo sarebbe far loro una grave ingiuria.

Dal 1994, delle misure di protezione erano proposte agli allevatori e pastori. Questi li hanno attuate. Nelle Alpi, hanno acquistato più di duemila cani di protezione. I pastori si sono assoggettati, per quanto possibile, a riportare ogni sera i loro greggi in parchi elettrificati, degli aiuto-pastori hanno rinforzato le sorveglianze.

Queste misure si sono rivelate efficaci ? Ci fu una tregua tra 2006 e 2009. Ma dopo, da allora, nulla funziona più! Malgrado una protezione aumentata, le perdite si sono raddoppiate in quattro anni. Allevatori e pastori hanno adattato le loro pratiche, ma anche i lupi, cosicché  visibilmente essi sono sul punto da prevalere. Malgrado  i cani di protezione, i lupi ora attaccano di giorno e di notte. Invece in modo più preoccupante si constata che la presenza umana non li dissuade più. I lupi hanno percepito il loro privilegio di esser protetti tanto da ripetere i loro attacchi senza rischio, compreso vicino alle strade e abitazioni. Questo cambiamento di comportamento era prevedibile.

Negli Stati Uniti, è conosciuto da molto tempo, dentro e vicino ai parchi nazionali, dove i gestori lottano ogni giorno contro gli effetti perversi della protezione integrale delle specie. Incitare la grande fauna a conservare un comportamento selvaggio nei nostri paesi esigerebbe una regolazione di continuo allarme, molto violenta.

Una conclusione si impone: i dispositivi di protezione più elaborati sono stati svalutati in pochi anni. Diverse tecniche complementari sono proposte, razzi illuminanti, generatore di ultrasuoni, droni sonori. Queste tecniche impauriscono sicuramente più le greggi che i loro predatori. I lupi sono intelligenti ed inventivi. La strategia europea di coesistenza delle attività di allevamento con questo grande predatore protetto è fallita, deve essere rimessa in questione. Al di là dei costi finanziari, le sfide ecologiche ed umane si amplificano e rimangono indissociabili.

La Francia si è impegnata presso l’Unesco a preservare i paesaggi culturali dell’agropastorizia delle Causses e Cévennesiscritti al patrimonio mondiale dell’umanità. Nelle Cévennes, come dovunque altrove nell’esagono, il ripiegamento delle attività pastorale provocherà il divenire della boscaglia e la degradazione degli habitat e di una litania di altre specie protette.

Ovviamente, questa prospettiva non richiama allo statu quo: i paesaggi sono viventi, i loro protagonisti non hanno smesso di evolversi. Alcune associazioni che ieri raccomandavano la ” convivenza”, oggi richiedono il ripiegamento dell’allevamento pastorale.

Ma il nostro paese non è il Wyoming ne il Montana. Allevatori e pastori di Francia non meritano di essere squalificati, espropriati. Questi uomini e donne sono appassionati, ispirati dal rispetto del vivente, si sono impegnatati nei mestieri esigenti, modestamente rimunerativi.

Siamo ancora in tempo per ridisegnare un avvenire per queste campagne ? Di impedire l’esclusione e l’emarginazione di contadini che si danno da fare per fabbricare dei prodotti locali di qualità, pure facendo vivere dei paesaggi diversificati ed accoglienti ? Si può ancora incitare i lupi a rimanere ” selvaggi” « facendo  loro capire » di conservare la dovuta distanza dalle attività di allevamento?

Le nostre società hanno bisogno di ecosistemi e di paesaggi diversificati. Molti funzionano e si rinnovano grazie al meticoloso lavoro dei pastori ed allevatori. La situazione divenendo per loro insostenibile, è sul punto di perdere il valore straordinario di questo patrimonio di  ecosistemi e paesaggi a causa dei lupi. S’impone un nuovo ripensamento dell’intero concetto  visione regolazione. È purtroppo già molto tardi. Forse, però, non è ancora troppo tardi.

Firmatari :

Gilles Allaire  Economista (Inra)

Gérard Balent  Ecologo (Inra)

Olivier Barrière  Giurista (Istituto di ricerca per lo sviluppo, IRD)

Claude Béranger  Zootecnico (Inra)

Jean-Paul Billaud  Sociologo (CNRS)

Jean-Luc Bonniol  Antropologo (Università Aix-Marseille)

Anne-Marie Brisebarre  Antropologa (CNRS)

Bernard Denis  (Scuola veterinaria, Nantes)

Vinciane Despret  Filosofo (Università di Liege)

Christian Deverre  Sociologo (INRA)

Jean-Pierre Digard  Antropologo (CNRS)

Laurent Dobremez  Agronomo (Istituto nazionale di ricerca scientifica e tecnologica per l’ambiente e l’agricoltura, Irstea)

Jean-Claude Duclos  Etnologo

Laurent Garde  Ecologo (Centro studi e realizzazioni pastorali Alpi-Mediterraneo, Cerpam)

Alfred Grosser  Professore emerito Sciences-Politique

Laurent Hazard  Agroecologo (Inra)

Bernard Hubert  Ecologo (Inra et EHESS)

Gilbert Jolivet  Veterinario (Inra)

Frédéric Joulian  Etologo ed antropologo (EHESS)

Étienne Landais  Zootecnico (ex-DG Montpellier SupAgro)

Guillaume Lebaudy  Etnologo (Università Aix-Marseille)

Bernadette Lizet  Etnologa (CNRS e Museo di Storia Naturale , MNHN)

Michel Meuret  Ecologo (Inra)

André Micoud  Sociologo (CNRS)

Danielle Musset  Etnologa (Università Aix-Marseille)

Pierre-Louis Osty  Agronomo (Inra)

Michel Petit  Economista (Istituto agronomico mediterraneo di Montpellier, IAM)

Carlo Petrini  Sociologo, Fondatore e Presidente di Slow Food International

Xavier de Planhol  Geografo (Università Paris-Sorbonne)

Sylvain Plantureux  Agronomo (Università di Lorena)

Jocelyne Porcher  Sociologo (Inra)

Daniel Travier  Etnologo, (Museo delle Valli delle Cevenne)

Pierre-Marie Tricaud  Agro paesaggista  (Federazione francese dei paesaggi, FFP)

Marc Vincent  Zootecnico (Inra).

(1) Il Bocage : un particolare tipo di paesaggio rurale che comprende piccoli boschi, siepi naturali e paludi frammiste a terreni coltivati di forma irregolare recintati, particolarmente presente nelle regioni nord-occidentali della Francia, come in Bretagna o in Normandia, e nel Regno Unito.

Per una montagna e una campagna europee libere da grandi predatori

(02.04.14) Sabato 29 marzo delegazioni di associazioni pastoraliste e pro montagna di Svizzera,  Francia e Italia hanno approvato una risoluzione comune sul problema del ritorno dei grandi predatori

L’incontro di Poschiavo, località di collegamento culturale tra a Sud e Nord dell’arco alpino, ha rappresentato una tappa significativa per le associazioni che difendono il pastoralismo e chi abita in montagna. La chiara ed articolata presa di posizione sul problema “grandi predatori” si affianca, integrandola, alle prese di posizione di importanti organizzazioni agricole. D’ora in avanti sarà più difficile per le organizzazioni animal-ambientaliste e per gli organismi istituzionali a livello nazionale ed europeo che si occupano di “ambiente” ignorare quanto sostengono i legittimi portatori di interessi. Sarà più difficile proseguire una politica tecnocratica della diffusione di orsi, lupi e linci gestita dalle autorità e dalle agenzie pubbliche sulla base delle unilaterali considerazioni scientifiche e delle visioni degli esperti “protezionisti”, senza ascoltare le popolazioni, le rappresentanze economiche e tecniche del mondo del pastoralismo e dei montanari

Con la partecipazione di esperti e di associazioni di allevatori di montagna provenienti da Grigioni, Vallese e Ticino (Svizzera), Piemonte, Lombardia e Trentino Alto Adige (Südtirol) Veneto (Italia) e Provenza-Costa Azzurra (Francia), sotto l’égida dell’Associazione per un Territorio senza Grandi Predatori, AGsenzaGP, lo scorso 29 marzo ha avuto luogo a Poschiavo / Le Prese (Grigioni) un interessante e significativo incontro di testimonianze internazionali sul problema della ritorno dei grandi carnivori sulle Alpi e in altre regioni montane dell’Europa Occidentale; e sulle sue conseguenze per chi abita in montagna e vive della montagna.

Il ritorno incontrollato sulle Alpi dei grandi predatori allunga ombre sul futuro della montagna non solo come meta sportiva e turistica ma innanzitutto come luogo di vita e di lavoro per chi sulla montagna vive e lavora da sempre. Il problema è ormai all’attenzione delle più grandi organizzazioni di promozione e di rappresentanza del mondo alpestre e rurale europeo.

Si vedano in proposito: il documento di base (Positions Papier) “Wolf/loup” pubblicato lo scorso 21 gennaio dal Gruppo Svizzero per le Regioni di Montagna, SAB; il comunicato dal titolo “Manifesto grandi carnivori, l’Ue dimentica l’agricoltura” diffuso lo scorso 27 febbraio dalla Confederazione nazionale dei Coltivatori Diretti, Coldiretti, di gran lunga la maggiore organizzazione di rappresentanza dei contadini italiani; il comunicato congiunto dello scorso 5 marzo di: Confédération paysanne, Fédération Nationale Ovine de la FNSEA, Solidarité pastorale, Association des pâtres de haute montagne, e delle associazioni per la difesa del pastoralismo e altri organismi che nel loro insieme rappresentano in Francia tutto il mondo della pastorizia e dell’allevamento

>Si denuncia poi che “l’imposizione per legge e con politiche pubbliche – a prescindere dalla volontà delle popolazioni direttamente coinvolte – della vicinanza tra grandi carnivori e abitanti delle terre alte oggi, e domani anche delle campagne di pianura, è un’iniziativa autoritaria presa dagli Stati e dall’Unione Europea sulla testa delle popolazioni interessate. (…) Un’iniziativa che, nella misura in cui avesse successo, equivarebbe a un decreto di espulsione della gente delle Alpi e delle altre terre alte dalle sue sedi ancestrali” e una larvata forma di esproprio non indennizzato.

>La dichiarazione si conclude tra altro con la ferma richiesta “che i problemi derivanti ad ogni livello dalla prossimità tra fauna selvatica, vita umana e attività agro-pastorali vengano d’ora in avanti affrontati non come corollari all’interno di programmi di protezione della fauna selvatica stessa bensì ab origine in sede politica, e con l’inderogabile partecipazione di rappresentanze delle popolazioni e delle categorie direttamente interessate, dei pastori, degli allevatori nonché di esperti di loro fiducia”.

>I firmatari della Dichiarazione chiedono inoltre che: “la Convenzione di Berna per la protezione del lupo e degli altri grandi carnivori venga rinegoziata; il Manifesto sui Grandi Carnivori della Commissione dell’Ue attualmente in consultazione venga ritirato e un suo nuovo testo venga redatto con l’attivo contributo di esperti indicati dalle organizzazioni dei contadini, degli allevatori e dei cacciatori; la congruità in genere della vigente legislazione e delle vigenti politiche pubbliche ambientali ad ogni livello venga verificata con l’attivo contributo di esperti indicati dalle organizzazioni dei contadini, degli allevatori e dei cacciatori”.

Le organizzazioni che hanno sottoscritto la Dichiarazione provvederanno al più presto a presentarla ufficialmente in sede politica ad ogni livello.

Hotel La Romantica alla frazione Le Prese di Poschiavo dove si è svolto l’incontro

Scarica le relazioni in formato pdf:


RISOLUZIONE DI POSCHIAVO


Riuniti a Poschiavo / Le Prese su invito e per iniziativa dell’Associazione per un Territorio Senza Grandi Predatori, ATsenzaGP, i sottoscritti pastori, alpigiani, esperti della società e dell’economia delle terre alte,  abitanti e frequentatori delle Alpi e delle campagne europee preoccupati per il ritorno incontrollato sulle Alpi  dei grandi predatori che allunga ombre sul futuro della montagna non solo come meta sportiva e turistica ma innanzitutto come luogo di vita e di lavoro per chi sulla montagna vive e lavora da sempre.

Prendendo esempio dalla presa di posizione di AmaMont (Associazione Amici degli Alpeggi e della  Montagna dell’Arco alpino europeo) con la sua lettera al Governo del Cantone dei Grigioni del 6 agosto  2012, e confortati nel vedere come ad analoghe conclusioni siano recentemente giunte le più grandi  organizzazioni di promozione e di rappresentanza del mondo alpestre e rurale europeo, e in particolare:

– il Gruppo Svizzero per le Regioni di Montagna, SAB, con il suo documento di base sul lupo dello  scorso 21 febbraio,

– La Confederazione nazionale dei Coltivatori Diretti, Coldiretti (Italia), con il suo comunicato dal titolo “Manifesto grandi carnivori, l’Ue dimentica l’agricoltura” dello scorso 27 febbraio

– La Confédération paysanne, la Fédération Nationale Ovine de la FNSEA, Solidarité pastorale, l’ Association des pâtres de haute montagne, delle associazioni per la difesa del pastoralismo e altri organismi che nel loro insieme rappresentano in Francia tutto il mondo della pastorizia e dell’allevamento, con il loro comunicato congiunto dello scorso 5 marzo.

Dichiarano che:

diversamente da quando vennero siglati accordi internazionali e stabilite politiche di protezione con l’intento  di evitare l’estinzione dei grandi carnivori europei, oggi a rischio di estinzione in Europa non sono più i lupi,  gli orsi e le linci bensì i pastori e gli allevatori di montagna;

il ritorno indiscriminato del lupo come pure dell’orso e di altri grandi predatori sulle montagne e nella  campagne europee è incompatibile con la presenza dell’uomo, e quindi pregiudica il presente e il futuro  delle popolazioni che vi abitano e vi lavorano, nonché la funzione turistica di tali territori da parte delle popolazioni urbane;

l’imposizione per legge e con politiche pubbliche – a prescindere dalla volontà delle popolazioni direttamente  coinvolte — della vicinanza tra grandi carnivori e abitanti delle terre alte oggi, e domani anche delle  campagne di pianura, è un’iniziativa autoritaria presa dagli Stati e dall’Unione Europea sulla testa delle  popolazioni interessate. Un’iniziativa presa sotto la pressione di sentimenti non a caso diffusi soltanto tra gli  abitanti delle grandi aree urbanizzate che non possono perciò avere adeguata esperienza e che non hanno  adeguata informazione sulla realtà della compresenza di uomini e grandi carnivori sul medesimo territorio.  Un’iniziativa che, nella misura in cui avesse successo, equivarrebbe a un decreto di espulsione della gente  delle Alpi e delle altre terre alte dalle sue sedi ancestrali.

chiedono pertanto fermamente che:

1. si stabilisca il principio che i problemi derivanti ad ogni livello dalla prossimità tra fauna selvatica, vita umana e attività agro-pastorali vengano d’ora in avanti affrontati non come corollari all’interno di programmi di protezione della fauna selvatica stessa bensì ab origine in sede politica, e con l’inderogabile partecipazione di rappresentanze delle popolazioni e delle categorie direttamente  interessate, dei pastori, degli allevatori nonché di esperti di loro fiducia.

2. la Convenzione di Berna per la protezione dei grandi predatori, in particolare del lupo e dell’orso, venga rinegoziata; e in particolare il suo articolo n. 22 venga rinegoziato così da consentire agli Stati firmatari di poter liberamente modificare le riserve stabilite per le specie protette dalla Convenzione adattando la normativa alla loro dinamica reale;

3. il Manifesto sui Grandi Carnivori della Commissione dell’Ue attualmente in consultazione venga ritirato e un suo nuovo testo venga redatto con l’attivo contributo di esperti indicati dalle organizzazioni dei contadini, degli allevatori e dei cacciatori;

4. la congruità in genere della vigente legislazione e delle vigenti politiche pubbliche ambientali ad ogni livello venga verificata con l’attivo contributo di esperti indicati dalle organizzazioni dei contadini, degli allevatori e dei cacciatori;

5. gli Stati si assumano l’intera responsabilità dell’introduzione dei grandi predatori sull’arco alpino, con tutti gli effetti collaterali derivanti, senza pretendere di appellarsi, come accade in Svizzera, a un  principio del diritto romano oggi superato: quello secondo cui i grandi predatori viventi sarebbero “res nullius”. Nella condizione moderna infatti, la fauna selvatica sussiste soltanto perché protetta e gestita  dagli Stati, che quindi ne sono detentori responsabili a norma dei codici di diritto civile non meno di quanto analogamente sono responsabili per ciò che li concerne i detentori di animali domestici

6. non si consideri come risolutiva la formula dell’indennizzo a mezzo di assicurazioni dei danni causati dalle predazioni dei carnivori poiché con tale formula in primo luogo restano scoperti i danni indiretti, spesso più gravi di quelli diretti; e in secondo luogo la responsabilità civile in materia dell’Unione  Europea (nel caso dei Paesi che ne fanno parte), dello Stato e degli altri enti di governo del territorio eventualmente coinvolti diventano de facto inoppugnabili.

Poschiavo (Grigioni, Svizzera), 29 marzo 2014

Sigle firmatarie

www.forumterrealte.wordpress.com

www.eleveursetmontagnes.org

www.atsenzagp.org

www.orsotrentino.blogspot.it

www.amamont.eu

www.associazionealteterre.gmail.com

www.montagnaviva.ch

www.ruralpini.it

www.antiloupwolf.ch