Convegno a Saluzzo:non si convive con il lupo
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il ritorno “naturale” dei lupi sulle Alpi è un racconto propagandistico. Un’analisi genetica accurata e soprattutto indipendente potrebbe facilmente dimostrare l’origine est-europea della gran parte della popolazione di lupi alpini.I pochi lupi rimasti in Abruzzo negli anni settanta all’interno del Parco nazionale si sono diffusi sugli Appennini, ma non spiegano la comparsa improvvisa nei primi anni novanta di lupi sulle Alpi marittime tra Italia e Francia (quando la Liguria ne era ancora del tutto priva), dapprima solo all’interno o in prossimità dei due Parchi regionali delle Marittime e del Mercantour, né tantomeno analoghe presenze negli stessi anni nel Parco di Salbertrand in Valle Susa. Per anni la presenza fu negata e le predazioni attribuite a cani rinselvatichiti, fenomeno mai esistito sulle Alpi occidentali.
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lupi e pastorizia non possono coesistere nello stesso areale: i predatori vanno allontanati dalle zone di pascolo delle Alpi
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i lupi compromettendo il pastoralismo favoriscono l’avanzare dei boschi e riducono la biodiversità dei pascoli alpini;
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lupi non più abituati ad essere cacciati dall’uomo diventano col tempo una minaccia reale alla vita umana (e non solo per i pochi montanari ma anche per i numerosi escursionisti);
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l’uccisione, ora illegale, di lupi non è bracconaggio, ma legittima difesa della persona e degli animali. Occorre riconoscere il diritto naturale dell’allevatore alla difesa armata del proprio bestiame all’interno dei propri pascoli!
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la colonizzazione dei lupi sull’intero arco alpino, auspicata e pianificata dal recente Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia, redatto dall’Unione Zoologica Italiana per il Ministero dell’Ambiente, è un progetto folle e delirante per chi in montagna lo subisce, ma che nasconde interessi concreti di soldi e finanziamenti per chi lo propone;
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I “Parchi naturali” sono lo strumento amministrativo con il quale tali politiche falsamente ambientaliste vengono imposte alle comunità locali: vanno semplicemente aboliti, risparmiando risorse che potrebbero impiegarsi in modo ben più proficuo per la tutela dell’ecosistema e del paesaggio alpino, da secoli incentrate sull’opera dell’uomo contadino;
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la responsabilità ultima della colonizzazione dei grandi predatori sulle Alpi ricade sulle politiche europee. L’unica soluzione efficace per risolvere a lungo termine il conflitto tra predatori e gente di montagna è mettere in discussione la Direttiva Habitat e uscire dalla Convenzione di Berna: in effetti, la vera specie che rischia ormai l’estinzione sulle Alpi non è certo il lupo, ma l’essere umano, in particolare il contadino e la sua famiglia!
Piano lupo: i lupologi vogliono dettare legge ai pastori
I tempi dei signorotti e dei servi della gleba che la lobby del lupo rimpiange. Oltre che falsamente ambientalista essa è infatti falsamente progressista come dimostra l’identificazione in animali che sono stati simbolo di culture che esaltano la sopraffazione, la violenza, l’aggressività. Non occorre risalire agli ulfendhnar, guerrieri-lupo delle tradizioni norrene, basta pensare alle SS e ai werwolf, gli irregolari nazionalsocialisti operanti dietro le linee nel 1945.
Ovviamente questa governance neoautoritaria conta sul fatto che l’orientamento politico generale è attualmente favorevole allo smantellamento delle autonomie locali, all’eliminazione dei comuni di montagna (auspicabilmente da aggregare a grossi comuni di fondovalle o pedemontani).
E’ palese che nessuno intende sul serio contrastare il “bracconaggio”. Come sostenuto dallo stesso Boitani in più occasioni il bracconaggio toglie le castagne dal fuoco a Regioni, Parchi, ambientalisti, lupocrati. Se non ci fosse il controllo numerico illegale del lupo la specie di espanderebbe eccessivamente anche per i gusti dei lupofili e lupocrati. Crescendo la presenza anche in aree intensamente coltivate e con attività di allevamento intensive contro il lupo si rischia (dal punto di vista lupofilo lupocratico) di suscitate opposizioni forti in grado di compromettere la governance del lupo a livello nazionale. La Lessinia che appartiene al tempo stesso alla realtà montana e a quella dell’allevamento intensivo indica già quali problemi solleva la presenza del lupo in un contesto di zootecnia da latte con un densa presenza di aziende sul territorio parte importante della realtà sociale locale. In Lessinia contro il lupo si sono schierati i sindaci (anche se poi alcuni continuano ad appoggiare il Parco), si sono mosse associazioni di categoria, si è mosso il sindaco di Verona, la provincia. Una reazione che non trova riscontro quando il lupo “picchia” in realtà disperse e marginali. Il “bracconaggio” frena anche l’arrivo del lupo nelle aree periurbane dove, sempre dal punto di vista lupofilo, vi è un rischio molto grave: che l’opinione pubblica alle prime notizie di avvistamenti, “incontri ravvicinati” muti rapidamente l’atteggiamento superficialmente lupofilo in uno lupofobo. La storia del Trentino insegna qualcosa. Quando l’orso ha aggredito e mandato all’ospedale delle persone in comune di Trento o in un comune limitrofo il già declinante consenso alla presenza degli orsi è crollato.Il “bracconaggio” quindi è una manna per gli ambientalisti e le istituzioni ignave. Si tratta di una vera azione di controllo della popolazione. 100-200 capi eliminati ogni anno secondo le stesse stime dei lupologi che nella loro altezzosa arroganza non si preoccupano se esse sono palesemente incompatibili con altri due dati: l’espansione, sotto gli occhi di tutti della specie e l’altro, taroccato, ovvero le stime “ufficiali” della consistenza numerica della stessa. Perché i lupologi tarocchino la stima “ufficiale” della popolazione lupina (ferma a 1000 esemplari) è abbastanza chiaro. Innanzitutto non potrebbero accedere ai canali privilegiati di finanziamenti europei se la specie non fosse in perenne “pericolo” come essi sostengono in barba ad ogni evidenza empirica, in secondo luogo in assenza di una stima certa il Ministero (sentita l’Ispra che a sua volte sente il Comitato scientifico ovvero la lupologia e gli ambientalisti) ha potuto respingere in modo ineffabile le richieste di piani di controllo selettivo più volte avanzate dalle Regioni. Vale la pena di osservare per apprezzare il livello di squallore del Piano che esso riporta che “nessuna regione ha mai avanzato richiesta di attivazione della deroga per l’abbattimento selettivo di lupi”. La sola Regione Piemonte l’ha fatto due volte, la prima quando era assessore all’agricoltura il pd Taricco (oggi onorevole), l’altra quando era assessore l’ex leghista Sacchetto. Eppure tra i firmatari del Piano ci sono anche funzionari piemontesi. Vale la pena ricordare che l’argomento della “mancanza di dati” sollevata – si badi bene – nel caso di una regione che aveva speso milioni con il Progetto lupo per monitorare i branchi . A controprova che i Comitati scientifici (foglia di fico dietro la quale il Ministero nasconde la sua ignavia) sono in realtà Comitati politici è bene ricordare che nella risposta alla “inesistente” richiesta della regione Piemonte si obiettò anche che non era possibile abbattere alcun capo a causa della “sensibilità dell’opinione pubblica” (aspetto questo del tutto non pertinente con un parere sul piano gestionale).Quanto avviene in materia di controllo numerico del lupo (non un capo può essere abbattuto legalmente nonostante ricorrano tutte le circostanze previste dalla Direttiva habitat per l’attivazione delle deroghe al regime di protezione) rappresenta un classico esempio di italica ipocrisia. Dopo “Divorzio all’italiana” di potrebbe girare un film: “Controllo del lupo all’italiana”. In realtà il bracconaggio non esiste o, nel caso del lupo, è realtà marginalissima (come quel balordo genovese, caso unico di bracconiere di lupi condannato, che ostentava al collo una collana con le zanne di sei lupi da lui uccisi). Nel 99% dei casi i lupi non sono uccisi da bracconieri ma da pastori, abitanti di località isolate (cacciatori o no) che non si risolvono a rischiare una condanna penale per divertimento, per sport, per senso di sfida ma per legittima difesa, per tutelare la propria attività la sicurezza propria e delle persone con cui vivono e lavorano. L’uccisione dei lupi è percepita dal gruppo sociale dei pastori e degli allevatori e dalle comunità locali non solo come una rischiosa necessità che supplisce all’ipocrisia di stato e alle falsità ambientaliste ma anche come una doverosa e legittima forma di resistenza sociale. Se “passano” i lupi, se essi arriveranno a condizionale la vita locale o a desertificare ulteriormente borgate e vallate minori allora per la montagna per le alte colline interne non c’è speranza. Infine c’è la componente di protesta (le carcasse o i trofei ostentati) che, però, riguarda solo poche situazioni di particolare esasperazione. Nella stragrande maggioranza dei casi chi elimina il lupo cerca di farlo nel massimo silenzio facendo sparire ogni traccia.
Quando il Piano lupo proclama la necessità di una lotta diretta al “bracconaggio” fa solo un esercizio di propaganda. Il “bracconaggio” non esiste ed essendo una forma di legittima difesa e di resistenza sociale l’approccio repressivo e le ritorsioni non possono che esasperarlo. Dal momento che il controllo illegale del lupo è non solo importante ma necessario i piani antibracconaggio si tradurranno in sperpero si spesa pubblica e in qualche esibizione “muscolare” di facciata.
La lotta “diretta” alle cause di mortalità antropogenica non ci sarà. Fa troppo comodo che i lupi vengano eliminati in silenzio consentendo alle istituzioni (che dopo il caso Daniza tremano all’idea di dover giustificare, di fronte ad un’opinione pubblica aizzata dagli animalisti , l’uccisione legale di orsi e lupi). Se il Piano perseguisse sul serio la riduzione della mortalità si assisterebbe ad un aumento del tasso di crescita non solo nelle aree di espansione (Alpi) ma anche sugli Appennini.
Il Piano pertanto quando proclama di voler “conservare” la popolazione in realtà non riesce a dissumulare che quello che persegue non è solo l’espansione territoriale sulle Alpi ma l’aumento numerico delle popolazioni lupine. Proclamare, che in Toscana o in altre regioni “calde” i lupi debbano aumentare è politicamente “complesso” e quindi si finge di perseguire la “conservazione”. L’ipocrisia si rileva nella reticenza nell’ammettere la condizione di incremento numerico e di espansione di areale della specie (studi scientifici lasciano ritenere che la consistenza reale della popolazione lupina italiana raggiunga e superi i duemila individui ). In realtà l’obiettivo è quello di mantenere ai livelli attuali il “bracconaggio” così da ottenere in presenza dell’aumento dei branchi (sulle Alpi e sugli Appennini), in presenza di una progressiva “ritirata” dell’uomo, un aumento numerico fino ad avvicinarsi agli obiettivi indicati dalle mappe di “vocazionalità territoriale”. Esse, non tenendo conto della presenza delle attività umane (tranne le strade in quanto ostacolo e causa di mortalità del lupo), basandosi solo sulle caratteristiche orografiche e vegetazionali dei territori, facendo finta che l’uomo si sua già estinto, arrivano a preconizzare la presenza di 2000 lupi solo sulle Alpi.
Non mancano nel Piano affermazioni palesemente prive di ogni fondamento oggettivo quando non palesemente false e fuorvianti. Così come quando si reitera l’identificazione del capro espiatorio dell’ibridazione nei pochi allevamenti di Cane lupo cecoslovacco sfidando impavidamente l’ovvio rilievo che si tratta di un numero esiguo di esemplari di grande valore commerciale il cui abbandono o rilascio non può spiegare che una frazione infinitesimale del fenomeno. Le osservazioni velatamente critiche sulla gestione dei Centri di recupero e degliZoo del lupo (di cui non si può fare a meno di rilevare i costi esorbitanti ma anche la discutibile gestione della riproduzione in cattività e nel rilascio di soggetti dopo lunghi periodi di contatto con l’uomo) lasciano intendere che la presenza di ibridi e di lupi non autoctoni allo stato selvatico non può essere ascritta solo al mancato controllo o abbandono da parte di cacciatori, contadini residenti in aree rurali ma anche ad altri fenomeni illeciti di tutt’altra natura.
A fronte della costante riduzione della popolazione rurale, degli allevatori e dei cacciatori e quindi alla tendenziale contrazione di almeno alcune delle componenti del fenomeno dei cani vaganti l’aumento della presenza di ibridi è palesemente da mettere in relazione alla conquista da parte del lupo di areali antropizzati dove era stato eradicato in tempi precedenti al secolo. Tale conquista è il risultato della scelta di non controllare la specie ma di lasciare a sé stesse le dinamiche di espansione territoriale. Una scelta ideologicamente lupofila che fa pagare (non paradossalmente) al lupo lo scotto della sua strumentalizzazione come bandiera. Uno scotto che si traduce in una penalizzazione dell’integrità genetica del lupo vittima di un “successo biologico drogato” (agevolato), non controbilanciato dalla prudenza nell’evitare l’espansione in aree non storiche e non vocate contigue a quelle a forte antropizzazione.
Ma la prova provata che l’obiettivo del Piano non è la “conservazione” ma l’espansione geografica e l’incremento numerico è rappresentata dalle condizioni poste dalle deroghe. Delle varie (sono cinque) fattispecie di attivazione delle deroghe il Piano ne salva solo una (quella legata alla sicurezza e a gravi conflitti sociali). Dimostrando che la consistenza del lupo deve essere considerata variabile indipendente e che gli interessi economici degli allevatori sono una variabile dipendente il Piano non prende in considerazione la fattispecie contemplata dalla Direttiva Habitat del “grave danno economico”. Sostituendosi al legislatore il Piano cassa questa previsione come non fondata scientificamente e sostanzialmente afferma che l’attivazione della deroga non deve essere messa in relazione alla pressione predatoria. In realtà il principio della teorica possibilità di ricorso alla deroga per consentire alla rimozione di singoli capi sottostà a tali e tante condizioni da determinarne di fatto la certa inapplicabilità della previsione. Per di più mentre in altri paesi europei con popolazioni lupine molto meno consistenti (sia in termini assoluti che di densità territoriale) si attua un prelievo del 10% (in Francia quest’anno è possibile abbattere 36 esemplari su una popolazione stimata di poco più che 300 capi e lo stesso vale in Svezia con il prelievo di 20 su 200) il Piano prevede che il numero di capi abbattuti non possa eccedere il 5% del valore della stima al ribasso. Giocando sulla mancanza di stime precise (per le quali si richiedono cospicui finanziamenti per studi e ricerche “complesse, lunghe e costose” ovvero per mantenere in efficienza la macchina lupologico vitaminizzata da 18 progetti Life) il numero di capi ammissibili sarà irrisorio. Ma sarà praticamente impossibile trovare un comune che soddisfi contemporaneamente a tutti i requisiti incrociati previsti (presenza di danni spra la media, monitoraggio, assenza di bracconaggio ecc. ecc.).
Se il numero degli abbattimenti legali sarà sempre uguale a zero e se le consistenti risorsi e molteplici azioni a contrasto del bracconaggio saranno sia pur parzialmente efficienti l’espansione del lupo è assicurata. E in questo quadro, in questa tela di ragno abilmente tessuta dalla lupocrazia, il problema del conflitto si risolverà con la sparizione in molte aree del paese dell’attività venatoria e pastorale. A cosa serve dunque la previsione di un sia pure minimo controllo?
A dimostrare, come ammette lo stesso Piano una “flessibilità” di facciata, furbesca, che non esiste. Servirà solo ad ostacolareun coagulo di consenso intorno alle popolazioni rurali e montanare che si oppongono alla diffusione del lupo contrastando quella erosione del l’accettazione sociale generica a favore di “Grandi predatori” mitizzati che si verifica quando essi si materializzano come problema e minaccia concreta, non di remote “aree marginali” ma di aree con forte densità abitativa. E’ l’effetto che deriva dallo scoprire che i profeti dei Grandi predatori ignorano semplicemente che l’Italia è – nonostante urbanizzazione e stati demografica – un paese con una densità umana superiore di diversi ordini di grandezza agli sconfinati scenari nordamericani dove l’ideologia conservazionista, parchista, grandipredatorista si è sviluppata per essere importata come strumento di colonizzazione culturale e di trasformazione socioterritoriale nel senso gradito ai grandi interessi economici mondiali.
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