Festa della pecora gigante bergamasca

Vieni alla Prima Festa della pecora gigante bergamasca che si svolgerà il 14 e 15 maggio 2022 al Palaspirà (Spirano – Bg)

Come arrivare al Palaspirà (dalla A4 provenendo da Milano uscire a Capriate e seguire per Zingonia e Strada Francesca – dalla A4 provenendo da Brescia uscire a Seriate, percorrere Tangenziale Sud sino a Comun Nuovo) ampia disponibilità di parcheggi (vedi mappa). I camperisti sono benvenuti e possono parcheggiare nell’ampio Piazzale del Mercato).

PROGRAMMA PER BAMBINI CON GIOCHI E SORPRESE (da portare a casa). CUCINA PER BUONGUSTAI MA ANCHE PIATTI PER BAMBINI. SERVIZIO BAR (vino, birra alla spina, bibite, panini)

Un’occasione unica per conoscere da vicino il mondo dei pastori e la pecora bergamasca

Eventi gratuiti ad accesso libero, cucina senza prenotazione, servizio al tavolo. Non esitate a contattarci per ogni tipo di info

Spirano è un paese di 2000 abitanti a 15 km a Sud di Bergamo; un tempo cinto da mura, conserva edifici fortificati. Suggestivo il centro storico con l’ellittica Piazza Libertà. Da segnalare il Monumento alle Torri Gemelle. Il Palaspirà è una struttura moderna e funzionale per gli eventi della comunità che ha visto svolgersi anche eventi di interesse sovralocale.

Il gregge che sfilerà Domenica in tarda mattinata per le vie del paese è un gregge locale che pratica la transumanza svernando sulla vicina asta del Serio e trasferendosi per l’alpeggio in val di Scalve.

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In ricordo di Tino Ziliani

Tino al primo Festival del pastoralismo di Bergamo (il “campo dei pastori” ad Astino

Il Festival del pastoralismo intende dedicare a Tino Ziliani, che fu tra gli attivi promotori della prima edizione nel 2014, un evento – dedicato alle greggi e ai pastori – da tenersi in primavera a Spirano (Bg). Tino è scomparso improvvisamente il 24 febbraio e vi è il fondato timore che anche l’anniversario non potrà essere l’occasione per quella commemorazione che gli amici di Tino aspettano. Non è certo il caso di organizzare una commemorazione online. Anche l’appuntamento di primavera, a metà aprile, non è affatto al riparo dalle misure Covid.

In qualche modo è però giusto ricordarlo – senza aspettare le calende greche – con delle qualcosa che vada al di là del necrologio. Michele Corti, presidente del Festival del pastoralismo, che ha seguito, sin dalla nascita nel 2000, l’Associazione pastori camuni (poi “lombardi”) presieduta da Tino, ha scritto una traccia di una biografia di Tino che potrà essere ampliata quando sarà possibile spostarsi, incontrare di persona i parenti, gli amici, i tosatori, i pastori e ricostruire la sua figura come essa merita.

Tino Ziliani e l’Associazione Pastori lombardi

Si fanno più gravi gli attacchi dei lupi nel comasco

(20.08.17) Dopo la Valbrembana,  dove un lupo nelle scorse settimane ha ucciso in ripetuti attacchi 26 pecore , arrivano notizie allarmanti dal comasco. Qui in val Cavargna, 30 capre risultano morte o disperse a seguito dell’attacco di un branco. Insieme alle notizie che arrivano dalla montagna veneta questi episodi indicano che è in atto una vera e propria escalation. Che condurrà ad una conflittualità come mai si era vista prima in Italia. Le avvisaglie si hanno già in Lessinia dove la situazione è letteralmente scoppiata al partito del lupo e alle istituzioni (come è successo in Trentino con Life Ursus). Ma un nuovo fronte caldo sta nascendo in Lombardia.

L’estate 2017 segna una svolta nella vicenda della reintroduzione del lupo sulle Alpi. I branchi aumentano in rapidissima progressione (5 solo in Veneto, da uno che erano – “ufficialmente” – sino a soli due anni fa. Ma come stanno le cose in Lombardia, regione sino ad oggi solo marginalmente colpita dagli attacchi del lupo agli animali domestici?

Il lupo in Lombardia: una presenza che risale a decenni fa, ma che solo oggi diventa palese e impattante

Il ritorno del lupo sull’Appennino pavese data a quarant’anni fa.  I branchi, però, sono decisamente aumentati negli ultimi anni. Hanno causato gravi danni nel 2014 a Rocca Susella ad un pastore transumante con la perdita di decine di pecore, per la maggior parte cadute – per il terrore –  nel torrente Staffora e trascinate sino al Po.   I lupi appenninici si spingono sempre più spesso in pianura dove, nel parco regionale del Ticino, tra le province di Pavia e di Milano, si è già formato un branco  (non ancora “ufficiale” ma è ammessa la presenza di una coppia e vi sono stati avvistamenti).

Tra le province di Sondrio, Bergamo e Brescia la presenza del lupo (specie nella zona del Mortirolo) è segnalata dal 1999.  Negli ultimi anni gli avvistamenti si sono intensificati e, quest’anno, a un lupo è stata attribuita, per la prima volta, una sigla (So M01,  maschio  n.1 della provincia di Sondrio) e una carta di identità genetica. Con molte probabilità sulle Orobie il branco si è già costituito anche se, come al solito, i parchi, le province (Bergamo e Sondrio) e WolfAlp, tengono tutto ben nascosto secondo una prassi sistematica di “opacità” (per non dire peggio).

Quanto al resto della provincia di Sondrio (Valchiavenna, area di Tirano e Ponte) le presenze sono ancora meno sistematiche anche se da anni vi sono avvistamenti e sporadiche predazioni (quest’anno almeno tre denunce). Preoccupa la presenza di un branco nel canton Grigioni (anche se non in prossimità dei confini), formatosi tre anni fa. Intanto il lupo che ha colpito a Foppolo pare si sia spostato in val Cervia dove avrebbe predato una decina di ovicaprini. Non vi sono conferme ma la notizia rimbalza tra Foppolo e Cedrasco. Silenzio tombale, anche in questo caso, da parte della provincia di Sondrio e del Parco. Non si vuole fare allarmismo. Popolazioni e allevatori devono fare la fine della rana bollita: assuefarsi a poco a poco all’idea del lupo senza reagire. Tutti (nella politica lombarda) continuano, per ora,  a inneggiare al lupo e alla biodiversità di cui sarebbe il campione (secondo un mantra trito e ritrito che ha molto a che fare con la propaganda di stile nazionalsocialista e poco con l’ecologia). Quando le predazioni aumentano le banderuole gireranno dove il vento dell’opportunismo politico suggerirà di riorientarsi (vedi i salti mortali tripli carpiati della Regione Veneto).

I protettori del lupo tengono il più possibile a lungo nascosta la realtà: le vittime sono complici dei carnefici

Le istituzioni cercano di tenere nascosta la presenza dei lupi aiutati da quegli allevatori e pastori che pensano di “risolvere il problema in silenzio” (o che semplicemente non hanno nessuno cui affidare gli animali o cui far svolgere i lavori agricoli e che non possono permettersi di perdere mezze giornate con le denunce e le procedure). Come abbiamo avuto modo di riferire nell’articolo della scorsa settimana sulle predazioni a Foppolo, è stato solo grazie alle fototrappole piazzate da un giovane pastore (che ha riferito direttamente ai media dell’accaduto) se gli attacchi in val Brembana sono stati resi pubblici (prima da Ruralpini, a ruota da Eco e Bergamonews che avevano il nostro comunicato).

Del resto anche la presenza dei lupo nel parco del Ticino è stata svelata solo grazie alle fototrappole posizionate da un pastore che aveva “beccato” la lupa a maggio e che aveva subito in due occasioni la perdita di agnelli.  Nel comasco, nella val Cavargna e nella valle Albano (valli tra Lario e Ceresio), sporadici danni si registrano a partire da 2012. Anche quest’anno c’è stata una denuncia a Dosso del Liro. Il branco della val Morobbia, valle che è in comunicazione con il Lario attraverso il passo di San Jorio, è già alla terza cucciolata (nella foto sotto, dell’ufficio caccia e pesca del canton Ticino, l’ultima cucciolata di quattro lupacchiotti).

Anche ammesso che qualche giovane delle cucciolate precedenti sia morto per cause naturali o per il controllo (un controllo “fai da te” ma reso necessario dalla latitanza delle istituzioni), c’è da credere che i primi nati, che hanno già raggiunta la maturità sessuale (hanno due anni e mezzo) si stiano disperdendo e possano mettere su la loro nuova famiglia. Quindi i guai grossi iniziano ora. Allevatore, cacciatore, pastore avvisato mezzo salvato.

La coppia “originaria” di lupi è stata fototrappolata dalla polizia provinciale a dicembre 2015, dopo che nell’estate al confine tra la val Cavargna e la Svizzera un gregge di 120 ovini aveva subito 43 perdite.

Il branco iniziale della val Morobbia è  nel suo comportamento transfrontaliero (come, del resto,  quelli al confine tra Piemonte e Francia), ma chi impedisce ai nuovi branchi di insediarsi stabilmente nelle valli del Lario e del Ceresio? Nessuno (tranne i pastori, gli allevatori, i cacciatori, ovviamente ma sempre operando, per forza maggiore, fuori da una legalità ingiusta).

L’ultima predazione in val Cavagna

Sabato 19 agosto è apparsa su la Provincia di Como la notizia del più grave attacco da parte dei lupi mai avvenuto (da un secolo in qua) in provincia di Como (una trentina di capi caprini tra uccisi e dispersi). A dare la notizia l’alpeggiatore, Carlo Panatti e il sindaco di Cusino, Francesco Curti (anche lui allevatore di capre). Questo attacco,  a parte i numeri, è grave perché colpisce animali in lattazione, caricati presso l’alpe di Rozzo, il fiore all’occhiello del comune di Cusino che, negli anni, ha effettuato importanti investimenti per il miglioramento delle strutture e delle infrastrutture dell’alpe, Non solo a supporto dell’attività zootecnica e casearia, ma anche in funzione dello sviluppo ecoturistico. Ma che ecoturismo può svilupparsi se scorazzano branchi di lupi, prevedibilmente presto contrastati da mute di aggressivi cani mastini da difesa? Nessuno perché i fanatici del lupo sono quattro gatti e hanno un sacco di posti in Italia e nel mondo dove esercitare la loro spesso morbosa passione.

Purtroppo la gente di città, che dice di amare gli animali, vede nelle conseguenze della predazione solo un danno economico: “tanto ve le risarciscono, di cosa vi lamentate”. Rispetto alla sofferenza degli animali domestici predati scatta un meccanismo che blocca ogni reazione di compassione, mentre lo stesso filtro ideologico provoca l’amplificazione esasperata dei sentimenti a favore dei grandi predatori. Solo le immagini più crude riescono a smuovere l’indifferenza degli “amici degli animali”. Per questo sono accuratamente censurate sui media e persino sui social. Ecco perché è giusto far vedere le immagini che l’allevatore ha scattato alle sue capre morte, ferite, moribonde.

L’episodio di predazione in val Cavagna è stato reso pubblico sabato scorso, quando le guardie della polizia provinciale si sono recate in loco per i rilievi (hanno anche eseguito dei tamponi per ricavare materiale biologico utile alle analisi del dna). Ma le perdite si riferiscono ad una serie di ripetuti attacchi serali che  sono iniziati già alla fine di luglio. L’allevatore ha  visto scomparire per primi alcuni capretti.  I capretti,  si sa, tendono facilmente a smarrirsi seguendo degli escursionisti o  perdendo il contatto con il gregge.  Così Carlo Panatti  si è recato per cercarli sugli alpeggi di Garzeno, la località – famosa, specie  la frazione Catasco –  per l’allevamento caprino e i formaggi caprini. Garzeno è nella valle Albano, al di là della cima del monte Bregagno.


Sopra l’area tra la val Cavagna e la valle Albano dove si sono verificati gli attacchi dei lupi. Sotto la sua individuazione nell’area lariana

Grande è stata la preoccupazione di Carlo Panatti quando ha appreso dai caprai di Garzeno che anche a loro erano spariti capretti, attribuendo la causa ai lupi. Dopo qualche giorno gli attacchi si sono verificati sui pascoli di Rozzo, ripetuti a distanza di due giorni nelle ore serali. In alcuni casi l’allevatore si è accorto dell’attacco in atto dai belati disperati e dallo strepito dei campani causato da fughe precipitose, ma in occasione dell’ultimo attacco l’allevatore ha anche scorto tre sagome di lupo. A questo punto è stata fatta la segnalazione alla polizia provinciale e le guardie e i veterinari della Ats sono venuti a constatare le lesioni sulle carcasse. L’allevatore si è anche preoccupato di documentare fotograficamente la presenza di orme e di fatte. Ma perché se non diventi Sherlok Holmes non sei creduto. Che logica c’è nel mettere a capo del danneggiato l’onere della prova?E ci si domanda anche se tutto ciò sia legittimo o un abuso.

Le circostanze della predazione non lasciano margine di dubbio sulla responsabilità dei lupo. L’analisi del dna più che confermarla tenderà semmai a individuare l’identità dei singoli soggetti responsabili per capire come si sta evolvendo il branco (o i branchi).

Impossibile tenere le capre rinchiuse di notte

Con estate caldi come questa anche a quote non troppo basse si deve adottare il pascolo serale. Di giorno le capre riposano – in luogo protetto – all’ombra della sòstra (foto sotto di fine giugno), di sera vanno a pascolare al fresco. Quando gli ambiental-animalisti, e i politici che tendono a blandirli, sostengono che si può “convivere con il lupo” dimenticano tante circostanze basilari:

1) il lupo era molto meno spavaldo perché sapeva che attacchi aperti ai greggi potevano concludersi male per lui, pertanto colpiva nel modo più rapido e furtivo limitando di necessità i danni; 2) il clima era più fresco e anche a quote basse si poteva pascolare di giorno quando la sorveglianza è più facile; 3) esisteva ampia disponibilità di manodopera, di caprai giovani e meno giovani  che di giorno seguivano il gregge anche sui terreni più impervi.

Oggi, se oltre ad adottare anche ulteriori metodi di prevenzione (le mute di cani da difesa in aree di frequentazione turistica, come la montagna lariana, sono comunque problematiche) non si contiene  anche la diffusione del predatore molti pascoli sono destinati all’abbandono. Ma senza  l’utilizzo dei pascoli l’allevamento e l’agricoltura di queste valli non possono stare in piedi.

Non mi interessa l’indennizzo

Parlando con Carlo Panatti colpisce come egli insista nel dichiarare che per lui l’indennizzo è la cosa meno importante. Pensa ad altre conseguenze, che nessuno può compensare. Vala la pena spiegare agli animalisti ignoranti che blaterano di “compensazioni” che l’indennizzo non compensa il danneggiato ristabilendo la situazione precedente al danno. Per il solo fatto che ciò è spesso impossibile. L’indennizzo consiste in un intervento riparatore di carattere economico non necessariamente commisurato alla effettiva entità del danno sopportato dall’avente diritto, ma agganciato a parametri prestabiliti per legge o per contratto. Senza fare riferimento all’ovvio caso degli indennizzi corrisposti ai parenti della vittima di un incidente o di un omicidio, va richiamato che – anche nel caso degli indennizzi dovuti agli allevatori per le perdite subite dai predatori – il tipo di “riparazione” dipende dalle clausole del contratto che la Regione Lombardia, come altre, ha sottoscritto tramite un brooker con una compagnia assicurativa. Un contratto di copertura dei rischi per questo tipo particolare di “sinistro” ma che come tutti i contratti assicurativi mira a limitare le cifre liquidate. Va precisato che la Regione , nel venire parzialmente incontro agli allevatori, non fa altro che assumersi le responsabilità che derivano dall’essere responsabile della fauna selvatica dal momento che essa è, per l’ordinamento italiano “proprietà indisponibile dello stato” e che tutta la materia (fauna e agricoltura) è di competenza esclusiva delle regioni come chiaramente stabilito dalla costituzione e dalle leggi vigenti. I lupi sono della Regione Lombardia, sia chiaro. Essa, però, per risparmiare aveva inizialmente fissato un massimale di 4 mila € per gli indennizzi, elevato a 6,5 mila € nel 2016. Una sottovalutazione delle conseguenze dell’aumento della presenza dei grandi predatori.

Vi è poi una “franchigia implicita”. Il tempo richiesto per le pratiche, per assistere alle verifiche di guardie e veterinari non giustifica la richiesta di indennizzo per pocchi capi. Così molte predazioni passano inosservate. Spesso anche perché – come già sopra osservato, il pastore preferisce cercare di risolvere il problema da solo, senza clamore. Ma così fa il gioco della lobby del lupo.

Procedure e linguaggi burocratici

La presenza di un massimale in caso di attacchi a bovini e a un numero consistente di ovicaprini, non può coprire il semplice danno della perdita dei capi. Non vi è poi alcun considerazione per le perdite produttive, gli aborti, la morbilità indotta, le cure veterinarie. Viene  aggiunto, oltre ai costi di smaltimento (obbligatorio) delle carcasse,  un 15% del “costo di acquisto” .. quale “contributo” per il disagio ed il disappunto degli animali al recepimento del nuovo contesto. Un modo un po’ singolare e arzigogolato per indicare un “disagio” che è certo degli animali (che, però, dei soldi non sanno cosa farsene), ma anche degli allevatori, per i quali è certamente meno semplice accudire animali non nati nel gregge.

Per molti allevatori, che curano amorevolmente i loro capi, li selezionano accuratamente, studiano i migliori accoppiamenti, nutrono e curano con particolare scrupolo i giovani animali destinati a dar vita a “linee di progenitori”, la perdita dei animali per loro unici, non è compensabile in termini monetari . Un fatto che vale poco o nulla nelle stalle dei grandi numeri  gestite da automatismi e operai e dove la riporoduzione è pianificata dal computrer, ma che conta molto nelle aziende famigliari dove vi è un rapporto personale e affettivo con gli animali. Quando Carlo Panatti sottolinea di non essere interessato all’indennizzo fa presente che “ci vogliono due anni per allevare una capra”. Gli animali non sono pezzi di ricambio intercambiabili, pupazzi, delle macchinette come suppone la mentalità urbana condizionata dalla civiltà industriale e consumistica.

Il danno alla produzione di latte e formaggi … e alla famiglia

Le capre sopravvissute, alcune ferite leggermente e curate con antibiotici (con i loro tempi di sospensione che costringono a gettare via il atte), ma anche le altre, fortemente stressate, hanno ovviamente calato la produzione di latte. Venendo meno il latte degli animali uccisi e dispersi, mancando gli animali di alcuni piccoli proprietari che, spaventati, hanno riportato a valle le loro capre, calata la produzione delle capre rimaste (un calo che, dopo la metà di agosto, non potrà più  essere recuperato), il latte da lavorare è crollato e la produzione di formaggi anche. Un danno serio per la piccola azienda di Carlo Panatti e della moglie Simona Maffioli che, tutte le settimane, partecipa ai mercatini contadini della provincia di Como. Per una piccola azienda che si regge sulla vendita diretta restare con poco prodotto significa perdere clienti. Tutte conseguenze “collaterali” che le assicurazioni, la regione, gli ambiental-animalisti da salotto e da tavolino ignorano. Un attacco predatorio ad un’azienda famigliare porta anche ad altre conseguenze, scompiglia programmi e abitudini. “Dopo due anni che non andiamo volevo portare le bambine al mare qualche giorno, ma come faccio in questa situazione a lasciare su mio suocero e l’aiutante straniero?”.

Lo sguardo triste ma dolce di una capra ferita. Il lupo non è riuscito ad approfondire le zanne nel collo limitandosi a lacerare la pelle e il “pendente”. Pare che dica: “Perché voi che dite di amare gli animali mi odiate tanto? Perché godete se mi sbranano i lupi per i quali fate tranto il tifo. Non sono anch’io un animale, non ho diritto di vivere, di pascolare senza il terrore del lupo?”.

E ora?

Dopo tanti “assaggi” sanguinosi l’estate 2017 segna l’escalation degli attacchi da lupo sulle Alpi centro-orientali. Violentissima in Veneto, seria anche in Lombardia. Le conseguenze politiche non saranno indolori: la regione Veneto annaspa tra dietro front,  annunci di ritiri da WolfAlp, dichiarazioni contraddittorie di Zaia, pose di recinzioni alte 120 cm che fanno ridere i polli. Zaia riesce, nella stessa dichiarazione, a dire che “i lupi stanno distruggendo l’ecosistema della montagna veneta” ma anche che “sono intoccabili”, facendo finta di dimenticare che questa primavera la Regione Veneto, rimangiandosi il parere favorevole precedentemente espresso, ha bocciato (per via delle pressioni animal-ambientaliste) il piano lupo redatto da Boitani e sostenuto dalla lupologia meno estremista che prevedeva un limitatissimo controllo del predatore. La regione a guida leghista questa volta non può prendersela con Roma , con un ministro dell’ambiente che continua a sostenere che la fine della protezione assoluta del lupo è necessaria perché ci sono aziende zootecniche che stanno chiudendo per una pressione predatoria insostenibile. Le istituzioni vanno in tilt e scontentano tutti (come avvenuto per il progetto Life Ursus in Trentino).

Zaia sul lupo non sa più che pesci pigliare

In Veneto e Lombardia il lupo può impattare molto più pesantemente del Piemonte. Considerazioni estranee alla lupologia “scientifica” che astrae completamente da considerazioni territoriali, sociale, economiche e vede solo nelle Alpi un territorio “vocato”.  A livello di singole aziende, che in Piemonte soffrono numerose il problema, l’impatto è forte ma a livello di sistema non provoca reazioni al di sopra della soglia di criticità.  A Cuneo e Torino le lunghe valli alpine sono spopolate e poco comunicanti tra loro e molta della zootecnia estensiva e d’alpeggio è indirizzata alla carne non coinvolgendo filiere e, per sua sfortuna, godendo di accrediti politici blandi. Conta moltissimo, però, anche la gradualità e la mancanza di trasparenza con la quale si è accompagnata l’affermazione della presenza del lupo in Piemonte .

Le Alpi centro-orientali, al contrario,  sono un sistema territoriale più denso e connesso, più antropizzato, dove la “rinaturalizzazione” imposta dell’ecototalitarismo comporta conflitti sociali più acuti e mette in campo forze molto più agguerrite a difesa di economie zoocasearie e turistiche. In più c’è l’esperienza del Piemonte (e dalla Francia) che ammonisce a non accettare passivamente la proliferazione dei branchi auspicata e favorita da WolfAlp.  Per il partito del lupo la conquista delle Alpi può rappresentare una dura guerra di posizione e un boomerang. Di certo oggi tutta la montagna veneta è in allerta e quella lombarda sta allertandosi. L’avanzata del predatore sarà contrastata e comporterà prezzi da pagare per la lobby del lupo, prezzi che possono mettere in forse anche le posizioni acquisite, le rendite di posizione conquistate quando il lupo era ancora una realtà appenninica e la “campagna delle Alpi” era ancora limitata al Piemonte. Aumentano peraltro anche le spaccature interne al fronte “conservazionista” (o per meglio dire “espansionista”) che, nelle sue componenti meno estremiste, si rende conto dei pericoli per lo stesso lupo di un’avanzata troppo trionfale (vedi la crescente ed estesa ibridazione con il cane domestico e la prospettiva della perdita di identità genetica del lupo italico, ormai non più isolato dalla popolazione lupina balcanica ed ell’Est Europa.

Le lobby ecototalitarie hanno forti interessi alle spalle, desiderosi di desertificare le montagne e di operare un nuovo colonialismo per il controllo del petrolio del futuro, ovvero l’acqua dolce pulita sempre più scarsa, e le altre risorse naturali. Hanno scatenato una guerra per la pulizia etnica di cui gli orsi e i lupi sono solo un tassello, insieme alla burocrazia e al crollo – indotto dalla globalizzazione –  dei prezzi dei prodotti agricoli, zootecnici e forestali.  Ma a differenza degli anonimi meccanismi della burocrazia e della finanza globale i lupi e i loro sostenitori sono attori ben riconoscibili e la  mobilitazione contro la diffusione dei grandi predatori può diventare catalizzatore di una resistenza alpina e rurale più ampia. Per questo la partita è così importante.

Il lupo causa gravi perdite a un gregge della Valbrembana

(11.08.17) A Foppolo, in alta Valbrembana in alcuni giorni di ripetuti attacchi un giovane lupo uccide 26 pecore. Ancora una volta l’onere della prova è a carico del pastore che, per essere creduto, deve posizionare le fototrappole dopo essere stato accusato di essere un bugiardo e un simulatore da alcune delle guardie della polizia provinciale intervenute per gli accertamenti.  Dopo anni di presenza “discreta” del grande carnivoro sulle Orobie anche qui il lupo diventa un incubo per i pastori.

Nessuno tra i pastori (parliamo di quelli veri) si faceva illusioni.  Se la presenza del lupo sulle Orobie non ha – almeno in base a quanto emerso pubblicamente – impattato sul pastoralismo è solo per alcune circostanze favorevoli (abbondanza di prede selvatiche, presenza di greggi custoditi). Oggi la “ricreazione” è finita: anche i pastori e i malghesi delle Orobie si devono confrontare con quella dura realtà che sperimentano da trent’anni i piemontesi e, da qualche anno, i veneti. In Veneto l’arrivo del lupo ha subito dato inizio ad una serie di sanguinosi episodi di predazione a carico  anche di bovini da latte con danni economici pesanti  e la creazione di una situazione di conflitto esplosivo. Oggi si parla di almeno cinque branchi sulle montagne venete.

Un lupo fotografato nel 2014 nella zona del Mortirolo, il passo tra la Valtellinba e l’alta Valcamonica

Una presenza che risale al 1999

Sono almeno 18 anni che il lupo è tornato sulle Orobie ma solo da quest’anno un lupo ha avuto una sigla (So M01,  maschio  n.1 della provincia di Sondrio) e una carta di identità genetica. Mentre le predazioni degli orsi provenienti dal Trentino hanno avuto, negli scorsi anni, ampia pubblicità nelle valli bergamasche e in Valtellina, quelle del lupo o sono state di minore entità o sono passate sotto silenzio per una sorte di “convenzione” tra amici e nemici del lupo.

SoMO1 in un’immagine ottenuta mediante fototrappola nella primavera di quest’anno

I primi fanno di tutto per ridimensionare la presenza e i danni del predatore (in modo che essa possa consolidarsi in assenza di conflitti), i secondi cercano di mantenere il silenzio per attuare un controllo fai da te. Qualcosa si è rotto in questo precario equilibrio.

 

I precedenti in Valbrembana messi a tacere

I sostenitori del ritorno del lupo a tutti i costi ritengono che per la “giusta causa” qualche bugia non sia peccato (o reato). Così i funzionari provinciali e regionali hanno cercato di minimizzare in questi anni la presenza del lupo, per non creare “allarmismo”. In realtà perché seguono la dottrina del tenere nascosta o ridimensionata la presenza dei grandi predatori fin a che diventa consolidata, un fatto irreversibile, che va accettato e subito senza poter discutere. Nel 2015 una lupa era stata fototrappolata ripetute volte in zona monte Ortighera-Val Parina (territorio di Lenna). In alcune immagini si vedeva anche l’animale con un cucciolo. Ma la Regione tentava di tutto per negarlo. Una funzionaria della direzione generale Sistemi verdi e Paesaggio della Regione Lombardia  laureata in agraria e senza competenze specifiche sentenziava: “Potrebbe essere un cane randagio. Servono delle tracce biologiche che, al momento, non abbiamo trovato”.


La lupa fototrappolata in val Parina nel 2015

Un episodio grave che cade in piena stagione d’alpeggio

Gli attacchi sono iniziati alla fine di settimana scorsa, lunedì notte la mattanza peggiore con 16 capi uccisi (qualcuno in fin di vita poi deceduto). Vittime gli ovini di un gregge di 600 capi che pascolano l’alpe Cadelle. Il gregge è in carico a due ragazzi rumeni e a un giovane locale, Alessandro Gherardi, figlio di una comproprietaria dell’alpe che possiede 150 dei 600 ovini. Un ragazzo giovane ma che la montagna  la conosce bene. L’alpe è molto vicina al paese.

All’inizio pareva che il predatore non consumasse le sue vittime, poi qualche carcassa è sparita. Vista la mal parata i due pastori rumeni si sono alzati alla baita alta a oltre 2000 m dove l’assenza di vegetazione arbustiva ed arborea (il pascolo è in mezzo alle rocce) rende più facile la sorveglianza. Però il lupo ha attaccato ancora. Sapendo che le guardie della provincia avrebbero – come di rito, -sostenuto che si trattava di un cane, il pastore ha posizionato una fototrappola presso le carcasse (opportunamente celate alla visione dei turisti). La mossa si è rivelata vincente. Le immagini catturate – sottoposte a più di un (vero) esperto  – non lasciano spazio ai dubbi.

 

È probabile che non si tratti di SO MO1 ma di un soggetto più giovane. Forse nell’area del Mortirolo c’è già un branco e questo è un soggetto in dispersione. nella strategia opaca adottata dalle istituzioni (Parchi e provincie) dettata loro dalle lobby ambientaliste, e osservata in barba agli obblighi di informazione dei cittadini e di imparzialità ideologica di organi e funzionari pubblici, non c’è molto da meravigliarsi. Nel parco del Ticino (vedi articolo di ruralpini) solo a giugno, dopo che un pastore, vittima di attacchi, aveva documentato la presenza dei lupi, è arrivata la mezza ammissione della presenza di una coppia. Ma più segnalazioni da parte di cacciatori concorrono a indicare la presenza di un branco (sono stati avvistati almeno quattro esemplari insieme).

Il pastore da vittima a colpevole

Un comportamento grave sarebbe stato tenuto da una delle guardie (le altre, per la verità si sono comportate in modo corretto) che hanno proceduto alla verifica della predazione. I nomi li conosciamo e, qualora servisse, li pubblicheremo. Una delle guardie a subito messo in discussione l’accaduto uscendosene anche con la parola truffa. Se queste circostanze fossero confermate saremmo di fronte ad una calunnia vera e propria con le aggravanti del caso (pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni). Anche da questo punto di vista nulla di nuovo. Il pastore, la vittima, viene messo sistematicamente sul banco degli imputati per difendere il lupo. Una tecnica da regime totalitario, ben esemplificata dalla denuncia per “maltrattamento di animale” contro Angelo Metlicovez che, a luglio, in comune di Trento è finito all’ospedale con ferite alle gambe e al braccio in seguito all’attacco da parte di un’orsa.   Dai forestali (che per fortuna non esistono più tranne nelle provincie autonome), da alcuni veterinari pubblici, da guardiaparco ecc. In barba ai diritti civili, all’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, agli obblighi dei pubblici ufficiali.

 

Dalle lesioni sul collo della povera pecora si può dedurre che la vittima è stata colpita con modalità tipiche del lupo sia pure con un “lavoro poco pulito” (ovvero con presenza di lesioni non riconducibili a quella mortale). Un quadro compatibile con un soggetto senza grossa esperienza, alle prime armi che deve allenarsi (questo spiega l’overkilling) ovvero l’uccisione di molto più capi rispetto a quelli consumati (che si spiega anche con la frenesia ovinicida scatenata dal comportamento delle prede).

Un animale che non si lascia più intimidire dall’uomo (e che quindi diventa un potenziale pericolo)

Ciò che ha colpito il pastore, e che lo preoccupa, è la quasi totale assenza di timore per l’uomo del soggetto responsabile della predazione. Il lupo, due notti fa, è stato “dissuaso” con urla e un potente fascio di una torca ma si è allontanato di poco. Il pastore l’ha anche “incontrato” lungo un sentiero a distanza di 40 m. Facendosi forza non solo no è arretrato o fuggito ma è avanzato urlando. Il lupo si è allontanato ma con tutta calma e senza scomporsi. Esattamente com dicono gli amici pastori e margari piemontesi che, quest’estate, stanno subendo una serie di attacchi. C’è preoccupazione perché siamo a ferragosto e la montagna non è mai popolata come in questi giorni. Sugli alpeggi sono presenti anche famigliari e bambini che vengono in visita e si trattengono per qualche magari per qualche giorno. Chi nasconde la presenza del lupo , diffonde notizie rassicuranti sul suo comportamento “sono secoli che non mangia gli uomini” (cosa del tutto falsa perché molti bambini sono stati sbranati in India pochi anni fa e in Spagna rapimenti e uccisioni di bambini sono state registrate negli anno ’70 del Novecento, senza dimenticare che casi di bambini ucciso dai lupi si sono verificati in Lombardia ancora agli inizi dell’Ottocento).

J’accuse di una pastora: ci uccidono senza sporcarsi le mani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

qui l’articolo originale su http://www.ruralpini.it

http://www.ruralpini.it/Una_pastora_ai_signori_del_lupo.html


(28.02.17) Ci uccidete per imporre la vostra civiltà di plastica. Ci uccidete con ipocrisia, camuffando il genocidio con il pretesto di quella natura che state distruggendo e del lupo elevato a bandiera


di Anna Arneodo

Sta nevicando: neve di febbraio, pesante, neve che già sente la fine dell’inverno. Pochi chilometri più a valle è già pioggia; qui è passato stanotte tardi lo spazzaneve, ma ora si sale solo con le catene.

Le stalle sono piene di agnelli: belli, grassi, sono già agnelloni oltre i 30 kg, ma quest’anno nessuno riesce a vendere … la crisi, l’importazione …? Intanto nelle stalle pecore e agnelli mangiano… Fuori del giro dei pastori nessuno si accorge di niente. L’altro ieri ho parlato con un pastore: un gregge di una cinquantina di bestie adulte, la passione che lo teneva vivo per continuare:

« Come vanno le bestie? »

« Ne ho caricate 82, le ho tolte tutte, basta! Non vendi più un agnello, d’estate l’alpeggio, d’inverno il fieno, il lupo, la burocrazia che ti mangiano. Ho chiuso tutto! »

Un’altra sconfitta! Pian piano questa società ci sconfiggerà tutti, chiuderà la montagna, ne farà un grande parco da sorvolare con gli elicotteri, per posarsi sulle punte- eliturismo!- e guardare dall’alto il presepio delle borgate abbandonate. Questo sarà fra poco la nostra montagna!

E intanto: il lupo! Povero lupo, il simbolo ecologico, il simbolo della coscienza sporca di tanta gente, salviamo il lupo! “ La Stampa” di mercoledì 1 febbraio ne ha una pagina piena: non una parola sui pastori, su chi vive e mantiene viva la montagna. Chi scrive, chi protesta, chi difende il lupo e le teorie ecologiste sta in città, ha lo stipendio assicurato, tanto tempo libero per farsi sentire, magari è anche vegano per sentirsi la coscienza pulita.

Noi pastori, allevatori, gente di montagna siamo quassù a presidiare il territorio, a mettere in pratica quotidianamente l’ecologia( ecologia- da “oikos”= casa), noi difendiamo ogni giorno la nostra casa, il nostro paese, il nostro ambiente.

Sopra: Anna fa il fieno con i figli per le sue pecore. Per solidarizzare con Anna scriverle a bram.2010@libero.it

Ma di noi nessuno si ricorda, diamo perfino fastidio, siamo pietra di inciampo. Noi, gente della montagna, che da secoli su questa terre scomode abbiamo saputo creare una cultura, una sapienza di vita per sopravvivere in un ambiente ostile, noi con la nostra storia, la nostra lingua, noi non contiamo niente: l’economia e la politica hanno deciso così.

Vivi ormai quassù ogni giorno con una malinconia, una inquietudine dentro che ti spegne ogni entusiasmo, ogni voglia di combattere.

Ci state massacrando. È un nuovo genocidio della montagna, fatto senza sporcarsi le mani.

Ultima bandiera il lupo.

Anna Arneodo

Convegno a Saluzzo:non si convive con il lupo

(18.12.2015) Si è svolto a Saluzzo presso l’Antico Palazzo Comunale, nella serata di giovedì 17 dicembre, il convegno “Il lupo sugli alpeggi” organizzato dall’Associazione Difesa Alpeggi Piemonte – Adialpi, per dare voce “a chi vive questa realtà ogni giorno attraverso il proprio lavoro” senza lasciarsi ingannare dalle tante parole (e denaro pubblico) spesi per i progetti sul lupo in Italia, finanziando enti, parchi ed associazioni, senza minimamente curarsi delle difficoltà degli alpeggiatori.
Saluzzo
Ad aprire la serata è stato il Presidente dell’Adialpi, Giovanni Dalmasso margaro di Crissolo, che ha descritto le attività dell’associazione, la lotta alle speculazioni sugli alpeggi che hanno fatto innalzare i canoni di affitto dei pascoli, e l’attuale coinvolgimento nei tavoli della Regione Piemonte sulle scelte della politica agricola.
“Il lupo è una delle tante problematiche degli alpeggiatori – afferma Dalmasso – di cui se ne potrebbe fare volentieri a meno. Anche i nuovi parchi naturali che si stanno insediando in Piemonte non sono altro che un grattacapo per chi lavora in montagna, con nuovi vincoli, regolamenti e difficoltà per chi deve vivere in questo ambiente. La colpa è soprattutto dei sindaci di montagna che non si sono battuti per rappresentare i loro cittadini ma hanno guardato soprattutto al loro interesse.
Il lupo si era estinto dalla nostra regione agli inizi del ‘900, poi è stato reintrodotto, ora è tornato a creare danni, ad attaccare le mandrie e i greggi, mettendo in difficoltà i pochi allevatori rimasti sulle nostre valli.
E mentre si continuano a  sprecare milioni di euro per finanziare i numerosi progetti lupo come Wolfalps, i margari sono lasciati sempre più soli, incapaci di difendersi; gli stessi sistemi di difesa sono inefficaci: il lupo continua a predare gli animali, i cani da guardiani sono pericolosi per i turisti e i risarcimenti non sono sufficienti a pagare i danni subiti. Il nuovo Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia presentato dall’Unione Zoologica Italiana lo scorso 19 ottobre su incarico del Ministero dell’Ambiente è un altro esempio di errata gestione del problema, creato da un gruppo di esperti di lupi ma inevitabilmente inesperti in pastorizia. Stiamo rischiando di mettere a rischio il futuro dei pastori e di conseguenza, mancando il loro lavoro nella conservazione del territorio, avremo gravi danni per l’ambiente.”
L’intervento del professor Michele Corti, docente di zootecnia montana presso l’Università di Milano e rappresentante dei pastori lombardi, ha analizzato la diffusione del lupo non solo sulle Alpi e sugli Appennini ma a livello europeo è possibile notare, negli ultimi decenni, una grande diffusione del predatore. A differenza dell’Italia però, in quasi tutti gli altri Paesi sono stati autorizzati degli abbattimenti in seguito alle richieste del settore agricolo. Il lupo viene cacciato in Svizzera, Francia, Svezia e molti altri stati, nonostante il predatore sia tra le specie specialmente protette dalla convenzione di Berna e dalla direttiva Habitat.
“In Italia – spiega il professor Corti – sembra che l’abbattimento del lupo sia una parola da non pronunciare assolutamente, impossibile da realizzare in quanto la legislazione non lo permette. Il lupo ha trovato nelle nostre montagna un territorio pieno di cibo, in cui nessuno gli fa del male: il paradiso. Mentre per i pastori questa situazione si sta trasformando in un inferno. Ma è poi vero che il lupo è l’unica cosa importante e tutelata? Esistono molte altre convenzioni internazionali volte a tutelare le pratiche agricole, la biodiversità delle razze animali autoctone, la cultura locale, oltre a norme fondamentali che tutelano la sicurezza, la liberta economica, la proprietà. Tutte queste tutele, sono diritti che vanno difesi: non si può dare come unica priorità la conservazione del lupo ma serve il giusto compromesso.
Intanto il lupo sta arrivando in pianura e vicino alle grandi città mentre sui pascoli la situazione è insostenibile: le recinzioni non bastano, il lupo non si mangia solo le pecore ma in alcuni casi si sbrana addirittura il cane da guardia, gli indennizzi sono troppo bassi, spesso non concessi.
Le conseguenze? I pastori si stufano di denunciare le predazioni, molti alpeggi non vengono più pascolati, le misure di difesa si scontrano con il corretto utilizzo dei pascoli e il benessere animale.
Le soluzioni? Coordinare gli allevatori delle diverse zone interessate dal ritorno del lupo in Italia (Piemonte, Veneto, Toscana,..) e in Europa per scambiarsi informazioni, agire con azioni politiche e legali, mettere in atto progetti pro-pascoli, turismo rurale, prodotti, cultura alpina. Fare in modo che non siano le Alpi del lupo ma le Alpi dell’uomo.”
Il Presidente di Alte Terre, Giorgio Alifredi, in quanto allevatore della Valle Maira ha espresso la sua volontà nel potersi difendere in caso di attacchi: “Finché esiste l’allevamento e la pastorizia dobbiamo poter difendere i nostri animali dagli attacchi. Non pensate che il pastore abbia il tempo di andare a caccia del lupo, ma nel momento in cui un predatore attacca il gregge devo poterlo allontanare, non posso stare a guardare mentre si sbrana i miei animali, il mio lavoro.”
Alifredi ha poi esposto il “manifesto antilupo” redatto dalle associazioni AlteTerre e Adialpi con il quale si vuole portare alla politica europea quali sono le difficoltà che ha recato il ritorno del lupo sulle Alpi e quali provvedimenti occorre attuare per far si che la pastorizia non scompaia dalle nostre montagne. “L’unica soluzione efficace – riporta il documento – per risolvere a lungo termine il conflitto tra predatori e gente di montagna  è mettere in discussione la Direttiva Habitat e uscire dalla Convenzione di Berna: in effetti, la vera specie che rischia ormai l’estinzione sulle Alpi non è certo il lupo, ma l’essere umano, in particolare il contadino e la sua famiglia!”
Tra gli interventi anche Daniele Massella, allevatore della Lessinia in Veneto, che descrive la situazione delle vallate veronesi dopo l’arrivo dei lupi: “Sugli alpeggi ci sono meno animali perché molti malgari non si fidano più a lasciare le vacche al pascolo, preferiscono tenerle in stalla, nonostante i costi più elevati. I risarcimenti non sono abbastanza alti, non si tiene conto del giusto valore genetico degli animali. La convivenza tra lupi e zootecnia è impossibile: occorre cambiare le leggi che lo tutelano altrimenti gli allevatori scompariranno dalle nostre montagne.”
Aiassa Tiziano, margaro di Limone Piemonte ha descritto la sua situazione: “Sono un allevatore di bovini di razza Piemontese. In cinque anni ho subito 30 perdite per attacco da lupo. I primi anni mi venivano risarciti. Ultimamente nemmeno quello: i veterinari dell’Asl, incaricati di fare le perizie delle predazioni in campo, non vogliono attestare che si tratta di attacchi da lupo e gli animali oltre i 3 anni non sono comunque indennizzati. Oltre al danno, veniamo messi in dubbio delle nostre dichiarazioni. Serve una controperizia oltre a quella dell’Asl per i casi in cui questa non sia sufficiente.”
Il sostegno all’iniziativa dell’Adialpi è arrivato anche dal vicepresidente di Federcaccia Piemonte,  Alessandro Bassignana che afferma: “Il lupo c’è e lo vediamo, si sta avvicinando alle città. In montagna il numero di animali selvatici è notevolmente diminuito dopo il ritorno del lupo. Sulla questione del ripopolamento e della sua possibile reintroduzione posso dire che, se il lupo delle Alpi dovrebbe teoricamente essere arrivato dagli Appennini, non si spiega il fatto che gli avvistamenti siano avvenuti diversi anni prima nel torinese che in Liguria.”
Pierangelo Cena di CIA Torino ha ribadito il suo appoggio alle iniziative per difendere l’attività dei margari sugli alpeggi: “Come organizzazione agricola ci siamo già impegnati nella raccolta firme contro il lupo sugli alpeggi. Siamo disponibili ad eventuali proposte. Il lupo ormai non è più in pericolo di estinzione, noi riteniamo servano nuove azioni per gestire il problema.”
Dal punto di vista politico, oltre agli interventi di vari sindaci locali che hanno sottolineato il loro ruolo all’interno del Coordinamento Gente di Montagna nato proprio per rappresentare le diverse problematiche del territorio alpino, è intervenuto Emiliano Cardia, rappresentante della segreteria dell’europarlamentare Alberto Cirio, che ha sottolineato la necessità di coordinare le proposte e le forze delle diverse associazioni agricole e di categoria affinché ci possa essere un fronte unico di proposte da avanzare alla politica. Sono infatti i politici che rappresentano il territorio che hanno il dovere e la possibilità di cambiare le regole laddove ci sono delle problematiche.
In conclusione della serata il Presidente Giovanni Dalmasso ha ricordato l’importanza di tutelare chi lavora in montagna, in particolare gli allevatori che svolgono un ruolo fondamentale nella conservazione del territorio. Sulle nostre vallate non serve il lupo ma chi è indispensabile è l’uomo.
“Come associazione dei margari – conclude Dalmasso – continueremo a farci sentire per ottenere delle misure utili a difendere il nostro lavoro, collaborando con gli alpeggiatori anche delle altre regioni e portando alla politica le nostre proposte. Noi le idee le abbiamo chiare, dobbiamo solo far capire agli altri le nostre ragioni prima che tutti gli alpeggiatori se ne vadano dalle montagne.”
manifesto antilupo piemontese
I pastori, allevatori, margari, contadini e gente comune della montagna piemontese,
firmatari dell’appello No  Parchi, no lupi! diffuso tra le valli nell’autunno 2015, dichiarano
con forza quanto segue:
  • il ritorno “naturale” dei lupi sulle Alpi è un racconto propagandistico. Un’analisi genetica accurata e soprattutto indipendente potrebbe facilmente dimostrare l’origine est-europea della gran parte della popolazione di lupi alpini.
    I pochi lupi rimasti in Abruzzo negli anni settanta all’interno del Parco nazionale si sono diffusi sugli  Appennini, ma non spiegano la comparsa improvvisa nei primi anni novanta di lupi sulle Alpi marittime tra Italia e Francia (quando la Liguria ne era ancora del tutto priva), dapprima solo all’interno o in prossimità dei due Parchi regionali delle Marittime e del Mercantour, né tantomeno analoghe presenze negli stessi anni nel Parco di Salbertrand in Valle Susa. Per anni la presenza fu negata e le predazioni attribuite a cani rinselvatichiti, fenomeno mai esistito sulle Alpi occidentali.
  • lupi e pastorizia non possono coesistere nello stesso areale: i predatori vanno allontanati dalle zone di pascolo delle Alpi
  • i lupi compromettendo il pastoralismo favoriscono l’avanzare dei boschi e riducono la biodiversità dei pascoli alpini;
  • lupi non più abituati ad essere cacciati dall’uomo diventano col tempo una minaccia reale alla vita umana (e non solo per i pochi montanari ma anche per i numerosi escursionisti);
  • l’uccisione, ora illegale, di lupi non è bracconaggio, ma legittima difesa della persona e degli animali. Occorre riconoscere il diritto naturale dell’allevatore alla difesa armata del proprio bestiame all’interno dei propri pascoli!
  • la colonizzazione dei lupi sull’intero arco alpino, auspicata e pianificata dal recente Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia, redatto dall’Unione Zoologica Italiana per il Ministero dell’Ambiente, è un progetto folle e delirante per chi in montagna lo subisce, ma che nasconde interessi concreti di soldi e finanziamenti per chi lo propone;
  • I “Parchi naturali” sono lo strumento amministrativo con il quale tali politiche falsamente ambientaliste vengono imposte alle comunità locali: vanno semplicemente aboliti, risparmiando risorse che potrebbero impiegarsi in modo ben più proficuo per la tutela dell’ecosistema e del paesaggio alpino, da secoli incentrate sull’opera dell’uomo contadino;
  • la responsabilità ultima della colonizzazione dei grandi predatori sulle Alpi ricade sulle politiche europee. L’unica soluzione efficace per risolvere a lungo termine il conflitto tra predatori e gente di montagna  è mettere in discussione la Direttiva Habitat e uscire dalla Convenzione di Berna: in effetti, la vera specie che rischia ormai l’estinzione sulle Alpi non è certo il lupo, ma l’essere umano, in particolare il contadino e la sua famiglia!

Piano lupo: i lupologi vogliono dettare legge ai pastori

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(19.12.15) Affidato dal Ministero dell’ambiente all’Unione zoologica italiana il Piano lupo dovrebbe diventare il fondamento per il prossimo quinquennio della strategia nazionale italiana di gestione (sic) del lupo. Redatto da 70 esperti compresi i dirigenti e funzionari responsabili delle regioni.  Tutti dipendenti pubblici e vincolati al rispetto dell’imparzialità dell’attività amministrativa ma tutti, con più o meno fanatismo, aggregati alla lobby. La faziosità pro parte ambiental-animalista dei funzionati regionali e provinciali degli uffici fauna è nota ma siglando questo delirante Piano dell’Unione zoologica l’hanno certificata e il cittadino non ambiental-animalista ne ricava la demoralizzante conclusione che i “pubblici servitori” da lui stipendiati servono interessi di parte palesemente contrari a intere categorie sociali.
 
Il Piano lupo è un clamoroso esempio di autoreferenzialità lobbysitica che, forte dell’abdicazione delle istituzioni al loro ruolo di salvaguardia di interessi comuni e di bilanciamento di interessi, senza inibizioni propone una visione di governance dello spazio agrosilvopastorale finalizzata alla diffusione del lupo e alla graduale soppressione delle attività antropiche tradizionali. Anche fuori dai Parchi (presidi di una visione padronale di controllo coloniale del  territorio montano e rurale), anche nelle “aree contigue”, anche oltre dove la lobby vorrebbe istituire delle Autorità di gestione del lupo con facoltà di dettare legge sull’esercizio della caccia e del pastoralismo. Il tutto sostenuto dall’azione intimidatoria e repressiva di un Corpo speciale di polizia pro lupo. La ciliegina sulla torta è la beffa di un controllo legale del lupo ammesso sulla carta ma condizionato a tali e tante condizioni da rendere impossibile abbattere legalmente forse anche un solo lupo in Italia.
Parrebbe un romanzo di fiction ma è la realtà dell’Italia attuale.
Questo piano così come formulato non passerà. Ma se i pastori, gli allevatori, i contadini, i cacciatori, le comunità dei piccoli centri di montagna e alta collina non sapranno esprimere in forma organizzata i loro interessi non si arresterà la strategia che utilizza la diffusione dei grandi predatori come grimaldello per desertificare la montagna e le aree rurali interne e porle sotto il controllo di grandi interessi economici decisi a sfruttare senza scrupoli ogni risorsa (lasciando una facciata di cartapesta di Parchi e di lupi).
Il Piano in dettaglio
Lo stato che il Piano definisce “di conservazione favorevole”  in realtà consiste in una condizione di continua espansione di areale e della consistenza della popolazione. Laddove il Piano si prefigge di “conservare” esso nasconde ipocritamente la volontà di “aumentare”. La lobby non può proclamarlo apertamente ma tutto il Piano è finalizzato ad espandere ulteriormente l’areale (sulle Alpi) ed ad incrementare nell’Italia appenninica la consistenza delle popolazioni lupine.
Le finalità del piano contemplano azioni di contrasto al controllo illegale della specie sino alla creazione di “nuclei speciali” (una sorta di louveterie all’incontrario) e alla penalizzazione di cacciatori, raccoglitori di tartufi , sino all’esclusione delle attività, venatorie, cinofile e di raccolta dei tartufi laddove vengano rinvenute esche avvelenate.
Cacciatori e raccoglitori di tartufi vengono criminalizzati quali categorie utilizzatrici di esche avvelenate per bieche rivalità interne facendo finta di ignorare che le esche, come da cronaca, sono spesso utilizzate da allevatori esasperati per un livello insostenibile di predazione. Per “conservare” il lupo il Piano propone, sempre tra le righe (a conferma di una reticenza e mancanza di trasparenza e onestà intellettuale di fondo), di limitare alcune forme di attività venatoria criminalizzando la braccata ma, in modo ancora più subdolo, proponendo l’estensione del divieto e comunque della limitazione delle attività venatorie nelle aree “contigue” sancendo la concezione dell’area protetta come Santuario della natura o più prosaicamente come centro di potere strumento di controllo del territorio e della spesa pubblica e di complessiva regolazione dello spazio rurale da allargarsi progressivamente alla buona parte del territorio agro-silvo-pastorale.
Che la la gestione del lupo rappresenti un veicolo di estensione del potere delle “centrali verdi” a danno delle popolazioni locali e delle attività tradizionali lo dimostra l’insistenza nel voler sottoporre le attività pastorali e venatorie a restrizioni e cambiamenti di regime sino a porle sotto il controllo e la sanzione (attuata negando lo stesso diritto di indennizzo per i danni da predazione) qualora gli allevatori non si attengano alle prescrizioni dei lupologi (reti, cani e altri sistemi di difesa passiva che in Francia ma anche in Piemonte hanno dimostrato – canta la carta dei verbali stilati dai veterinari pubblici – di essere gradualmente aggirati in forza della capacità del lupo di individuare spazi e tempi opportuni per colpire attraverso i punti deboli delle difese apportate). Riducendosi i greggi e le mandrie che frequentano le aree più a rischio i lupi – che trovano sempre più facile attaccare il domestico e che hanno già falcidiato le popolazioni locali di ungulati – concentrano i loro attacchi sugli ormai pochissimi greggi poco difesi risolvendosi poi a trovare i punti deboli delle difese d quelli che hanno adottato cani di guardiania e recinti “plurifilo” (o reti elettrificate).
La parzialità del punto di vista del Piano emerge lampante dalla totale assenza di considerazioni circa gli evidenti limiti dei mezzi di difesa passiva proposti e l’impatto psicologico, sociale, economico conseguenza dell’adozione di queste misure, impatto che va al di là di qualunque sussidio graziosamente concesso agli operatori “virtuosi” che si allineano alle prescrizioni lupologiche.
Per la maggior parte degli esponenti della lobby (compresi i funzionari pubblici) pastori, allevatori, cacciatori sono degli ignoranti pronti a truffare lo stato. Per loro quindi non ci dev’essere alcuna comprensione, prima cessano l’attività meglio sarà. In modo da restituire la montagna, la Natura alla sua presunta verginità.
Il conflitto tra i cani da guardiania e l’attività turistica è solo uno degli impatti negativi conseguenza dei “rimedi” alla presenza del lupo che creano ulteriori problemi agli allevatori. Un conflitto che sia in Francia che in Piemonte si è tradotto non solo in aspre polemiche, ordinanze comunali, denunce penali e sanzioni.
Un paradosso che dimostra solo la volontà delle istituzioni di assecondare la lobby. La Regione Piemonte da una parte condiziona gli incentivi del Piano di Sviluppo Rurale alla presenza del gregge/mandria di un cane da difesa ogni 100 capi, dall’altra alcuni comuni – timorosi della diserzione dei turisti – minacciano di non affittare più pascoli ai pastori/margari con più di 1-2 cani. Nessuno dei 70 esperti che con arroganza rara si arrogano di essere esperti di pastoralismo, di tecniche di pascolo, di benessere degli animali domestici ecc. si chiede come possano i pastori transumanti del Nord Italia costretti per ragioni di redditività a mantenere nel gregge 1000-1500-2000 capi a circolare per la Pianura padana altamente urbanizzata con 10-15-20 cani da difesa. Pare ce ne sia abbastanza per proclamare che la lobby giochi un gioco sporco.
 Non una parola da parte del Piano sulle difficoltà indotte dall’adozione delle misure di “difesa passiva” e sui loro limiti  ma la reiterazione del miracolistico effetto di mezzi che possono risultare efficaci in certe condizioni orografiche e di sistema pastorale ma non in altre. Tanta sicumera continua a basarsi sul logoro sporco trucchetto consistente nella vulgata della pastorizia abruzzese che non ha mai dimenticato la cultura della difesa dal lupo, dei pastori toscani di origine sarda antropologicamente avversi ad adottare misure di difesa per via di una cultura ancestrale modellata in assenza di lupo nell’isola. Parlando tra loro i pastori e gli allevatori hanno imparato a smontare questo trucchetto. Reiterato di recente anche in zone di recente introduzione del lupo (Lessinia) dove la tiritera ha assunto la forma: “In Piemonte i pastori hanno imparato a convivere”. Peccato non solo che la Lessinia sia completamente diversa dalle ali piemontesi ma anche che tra loro gli allevatori piemontesi e della Lessinia si parli no.
Pur non riconoscendo che i sistemi di difesa passiva abbiano limiti e controindicazioni il Piano entra nel merito della gestione dei sistemi stessi. La finalità ultima della lobby che consiste nel ridimensionamento sino alla sparizione delle attività di allevamento tradizionali è palese sia nell’analisi Swot, dove il “declino delle attività di allevamento tradizionali” è salutato come una “opportunità” per il lupo ma anche più concretamente e palesemente nel richiamare normative obsolete residuo di condizioni socio-economiche del tutto superate, quando si poteva assegnare un guardiano ogni pochi capi . Il Piano lo dice espressamente: sono auspicabili greggi e mandrie più ridotte con più custodi. Un decreto di morte subitanea perché solo con l’aumento dei capi gli allevatori hanno potuto compensare un prezzo della carne e del latte che in termini reali ha continuato a declinate. Un decreto di automatica attuazione se agli effetti economici della riduzione del numero dei capi imposta dalle necessità di difesa dal lupo si aggiungono ulteriori oneri di manodopera (ammesso e non concesso che sia reperibile una manodopera qualificata in grado di gestire la difesa dai predatori).
Mentre in Francia lo stato riconosce (e versa) ai pastori 10 milioni di € all’anno per compensare i maggiori oneri di lavoro indotti dalle necessità di difesa dal lupo (e ne riconosce altri 5 di indennizzi) in Italia non vengono risarciti neppure i capi palesemente predati.
Nessuno tra le diverse istituzioni e agenzie competenti si è mai preoccupato di stimare i danni del lupo e l’ammontare degli indennizzi versati. Gli “esperti” (gli stessi le cui firme figurano in calce al Piano lupo) stimano in 1-2 milioni di € i danni provocati dal lupo. Vogliono far credere che i 2000 lupi sul territorio della Repubblica italiana provocano solo una frazione dei danni causati nella vicina Republique. Il fatto è che – almeno su questo punto – lo stato francese si comporta da stato che si prende la responsabilità di censire i lupi, di monitorarne i danni e di indennizzarli. Lo stato italiano si comporta da cialtrone, assecondando gli interessi delle lobby e trattando da servi della gleba i gruppi sociali che rappresentano interessi dispersi e non in grado di tradursi in pressione politico-lobbystica.
Le regioni hanno trovato ogni scusa per sottrarsi al dovere di rispondere per i danni provocati da animali di loro proprietà (la fauna nella legislazione italiana è “proprietà indisponibile dello stato” che ha delegato alle regioni la materia). Eppure non più tardi della scorsa estate un tribunale ha riconosciuto il dovere della Regione Abruzzo di risarcire la vita di un giovane di ventisette anni che perse la vita nel 2008 a causa di un incidente stradale provocato da un lupo. Per “giocare sporco” hanno spesso affidato a broker assicurativi privati la materia degli indennizzi con conseguenze facilmente immaginabili. In alcuni casi si chiede all’allevatore di contribuire ai premi assicurativi, in altri si pongono limiti assurdi ai risarcimenti. In Piemonte (regione “virtuosa”) gli allevatori stanno gradualmente rinunciando a presentare denunce considerando che la trafila burocratica implica la perdita di intere mezze giornate. Cosa che un pastore e un margaro (anche se hanno un aiutante) non possono permettersi. In Piemonte i bovini adulti, che pure sono stati ripetutamente predati, sono esclusi dall’indennizzo in quanto “capaci di difendersi”. Eppure i verbali di accertamento di predazione parlano di capi fatti diroccare dai lupi (e da essi consumati), di capi con lesioni agli arti o alla testa provocati dalla fuga precipitosa su terreno cosparso di massi, di capi spinti contro una parete di roccia e privati di via di fuga. In Lombardia l’indennizzo ha un massimale di 4000 €. La pecora bergamasca da macello (90 kg) vale 150 €, se da vita 200-300€. E’ sufficiente che i lupi causino la perdita di una ventina di pecore per raggiungere il massimale. Due anni fa un gregge transumante nell’Oltrepo pavese era stato attaccato dal branco di Rocca Susella e decine di pecore erano cadute nel torrente Staffora, trascinate dalle acque verso il Po. Lamentele ancora peggiori giungono dalle regioni centro-meridionali.
Ridurre le attività tradizionali per il Piano significa “mitigare” il conflitto, ovvero mettere allevatori e pastori nelle condizioni di non poter più svolgere la loro attività. La “pace dei cimiteri” si sarebbe detto un tempo.
Gli ambientalisti in buona fede (che ben farebbero a darsi una diversa etichetta) dovrebbero comprendere che il fine della lobby del lupo è quello di eliminare le attività di allevamento estensivo (artigianali e indipendenti dalle organizzazioni globali di produzione e distribuzione del cibo) a favore di attività zootecniche industriali. La Confédération paysanne in Francia proclama da tempo che il lupo (la lobby, perché il lupo è strumento e vittima dei suoi “amici”) è il miglior alleato della distruzione dell’allevamento estensivo e del progresso delle “fabbriche del latte e della carne”. L’allevamento estensivo è veramente “sostenibile”, fattore di biodiversità, di protezione da calamità (incendi, frane), di benessere animale, di riproduzione di saperi e cultura. Lo hanno proclamato cinquanta tra studiosi, ricercatori, intellettuali francesi di varie discipline che nell’ottobre 2014 hanno redatto un “Appello perché gli ecosistemi non siano abbandonati dai pastori” sottoscritto anche da Carlin Petrini e pubblicato il 13 ottobre dal quotidiano Liberation.
L’ideologia della lobby (come di tutto l’animal-ambientalismo di matrice urbana) è invece quella della scissione tra ecosfera e sfera dell’attività economica e in generale umana di cui viene promossa la graduale artificializzazione. La presunta “natura incontaminata” deve essere sottratta al “disturbo antropico”. La conseguenza è quella della progressiva industrializzazione-artificializzazione dell’attività e della stessa vita umana. L’industria e l’apparato tecnoscientifico (difficili ormai da distinguere) stanno promuovendo l’artificializzazione della vita spostando sempre più la frontiera della manipolazione della riproduzione e della stessa costituzione genetica (umana e animale). Nel campo della produzione alimentare il complesso industriale-tecno-scientifico sta promuovendo la realizzazione di fabbriche di animali clonati (in Cina) mentre in diversi laboratori si sta sperimentando la coltura in vitro di tessuti animali per la produzione di carne artificiale. La prospettiva è che non esisteranno più animali e piante in simbiosi con l’uomo e neppure lo stesso uomo, almeno come lo conosciamo. Dall’uomo prodotto in provetta con un genoma programmato all’umanoide in cui i circuiti al silicio sostituiscono le strutture biologiche il passo non tarderà molto.
La “naturalizzazione”, l’idolatria della Natura nascondono il loro opposto, sono solo l’altra faccia della medaglia del progetto tecnocratico iperindustriale che si fa portavoce del sistema di potere basato sui due motori della finanza speculativa e della tecnoscienza. Sul cammino di questo progetto antiumano i pastori, i contadini, i montanari, le comunità delle aree rurali interne – meno facilmente manipolabili delle masse urbane – rappresentano un sia pure piccolo ostacolo.

Un ostacolo che va abbattuto in barba alle facciate ideologiche della “democrazia” e della “partecipazione”. La governance dello spazio agrosilvopastorale (o di quello che era un tempo tale) è una governance neoautoritaria e neocentralista dove non solo gli attori, i gruppi sociali presenti sul territorio hanno possibilità di esprimere i proprio orientamenti e i propri interessi ma dove essi sono privati di informazioni o sottoposti a campagne di disinformazione e di propaganda. Il nascondere la presenza del lupo nelle aree di nuova espansione (almeno sin quando essa è palese, consolidata e difficilmente reversibile) è esempio tanto evidente quanto frequente di quella stategia di disinformazione che nella sua arroganza la lobby teorizza anche in atti pubblici, nei “manuali” allegati alle risultanze dei tanti progetti milionari di cui essa beneficia. Ma la disinformazione non basta; c’è anche la strategia della denigrazione (chi contesta i tecnocrati verdi è gratificato quale “ignorante” e “arretrato”) e quella della repressione e dell’intimidazione. Il Piano prevede, come già osservato l’istituzione di un Corpo speciale di polizia in difesa del lupo con la scusa del “bracconaggio” e azioni di rappresaglia a danno di pastori e cacciatori dovunque vengano trovate esche avvelenate (grazie alle squadre di cani appositamente addestrate di cui dovrebbe essere dotata la Polizia pro lupo). Vietare il pascolo o la caccia laddove si rinvenga non già un lupo ucciso ma solo un esca è un mezzo infallibile per gettare benzina sul fuoco del conflitto sociale. Gli “esperti” del Piano Lupodimostrano una conoscenza del conflitto sociale pari a zero e comunque inferiore a quella di un qualsiasi laureato triennale di sociologia. Insultare interi gruppi sociali e proibire l’esercizio di attività lecite da parte di cittadini che hanno titolo per esercitarle per “rappresaglia” rappresenta una regressione della civiltà giuridica a tempi lontani.
I tempi dei signorotti e dei servi della gleba che la lobby del lupo rimpiange. Oltre che falsamente ambientalista essa è infatti falsamente progressista come dimostra l’identificazione  in animali che sono stati simbolo di culture che esaltano la sopraffazione, la violenza, l’aggressività. Non occorre risalire agli ulfendhnar, guerrieri-lupo delle tradizioni norrene, basta pensare alle SS e ai werwolf, gli irregolari nazionalsocialisti operanti dietro le linee nel 1945.
A suggello di una governance lupocratica in grado di espropriare anche fuori dei Parchi la capacità di controllo sul territorio dei comuni e dei gruppi sociali locali vi è la proposta di creare delle Autorità di gestione del lupo. Ovvero autorità con facoltà di coordinare la gestione del territorio agro-silvo-pastorale in senso favorevole al lupo. Come? Contando sui collaudati meccanismi di autoreferenzialità e di moltiplicazione della rappresentanza del mondo animal-ambientalista attraverso le sue varie espressioni dell’ambientalismo istituzionale (WWF, Legambiente) e dell’animalismo con varie gradazioni di spirito militante (Enpa, Lav, Pro natura ecc.). Facile prevedere che in tali organismi le rappresentanze della parte venatoria e agricola saranno minoritarie, spesso manipolabili in quanto non specificamente selezionate sulla base della connessione con le realtà di base e non sufficientemente motivate, attrezzate in senso tecnico e culturale, coordinate. L’ovvio risultato sarà quello di dare campo libero allo schieramento lupocratico pronto ad approfittare di ogni occasione per togliere spazi e voce agli interessi locali.
Ovviamente questa governance neoautoritaria conta sul fatto che l’orientamento politico generale è attualmente favorevole allo smantellamento delle autonomie locali, all’eliminazione dei comuni di montagna (auspicabilmente da aggregare a grossi comuni di fondovalle o pedemontani).
Tutto quanto considerato sinora consente alla lobby di crearsi condizioni favorevoli per la sua politica. Essa, però, non può ancora proclamare apertamente i propri obiettivi. L’espansione numerica e geografica del lupo è possibile quanto più si indeboliscono i presidi rurali, la presenza diffusa di allevatori, pascoli utilizzati. Il “contrasto al bracconaggio” è solo una messa in scena.
E’ palese che nessuno intende sul serio contrastare il “bracconaggio”. Come sostenuto dallo stesso Boitani in più occasioni il bracconaggio toglie le castagne dal fuoco a Regioni, Parchi, ambientalisti, lupocrati. Se non ci fosse il controllo numerico illegale del lupo la specie di espanderebbe eccessivamente anche per i gusti dei lupofili e lupocrati. Crescendo la presenza anche in aree intensamente coltivate e con attività di allevamento intensive contro il lupo si rischia (dal punto di vista lupofilo lupocratico) di suscitate opposizioni forti in grado di compromettere la governance del lupo a livello nazionale. La Lessinia che appartiene al tempo stesso  alla realtà montana e a quella dell’allevamento intensivo indica già quali problemi solleva la presenza del lupo in un contesto di zootecnia da latte con un densa presenza di aziende sul territorio parte importante della realtà sociale locale. In Lessinia contro il lupo si sono schierati i sindaci (anche se poi alcuni continuano ad appoggiare il Parco), si sono mosse associazioni di categoria, si è mosso il sindaco di Verona, la provincia. Una reazione che non trova riscontro quando il lupo “picchia” in realtà disperse e marginali. Il “bracconaggio” frena anche l’arrivo del lupo nelle aree periurbane dove, sempre dal punto di vista lupofilo, vi è un rischio molto grave: che l’opinione pubblica alle prime notizie di avvistamenti, “incontri ravvicinati” muti rapidamente l’atteggiamento superficialmente lupofilo in uno lupofobo. La storia del Trentino insegna qualcosa. Quando l’orso ha aggredito e mandato all’ospedale delle persone in comune di Trento o in un comune limitrofo il già declinante consenso alla presenza degli orsi è crollato.Il “bracconaggio” quindi è una manna per gli ambientalisti e le istituzioni ignave. Si tratta di una vera azione di controllo della popolazione. 100-200 capi eliminati ogni anno secondo le stesse stime dei lupologi che nella loro altezzosa arroganza non si preoccupano se esse sono palesemente incompatibili con altri due dati: l’espansione, sotto gli occhi di tutti della specie e l’altro, taroccato, ovvero le stime “ufficiali” della consistenza numerica della stessa. Perché i lupologi tarocchino la stima “ufficiale” della popolazione lupina (ferma a 1000 esemplari) è abbastanza chiaro. Innanzitutto non potrebbero accedere ai canali privilegiati di finanziamenti europei se la specie non fosse in perenne “pericolo” come essi sostengono in barba ad ogni evidenza empirica, in secondo luogo in assenza di una stima certa il Ministero (sentita l’Ispra che a sua volte sente il Comitato scientifico ovvero la lupologia e gli ambientalisti) ha potuto respingere in modo ineffabile le richieste di piani di controllo selettivo più volte avanzate dalle Regioni. Vale la pena di osservare per apprezzare il livello di squallore del Piano che esso riporta che “nessuna regione ha mai avanzato richiesta di attivazione della deroga per l’abbattimento selettivo di lupi”. La sola Regione Piemonte l’ha fatto due volte, la prima quando era assessore all’agricoltura il pd Taricco (oggi onorevole), l’altra quando era assessore l’ex leghista Sacchetto. Eppure tra i firmatari del Piano ci sono anche funzionari piemontesi.  Vale la pena ricordare che l’argomento della “mancanza di dati” sollevata – si badi bene –  nel caso di una regione che aveva speso milioni con il Progetto lupo per monitorare i branchi . A controprova che i Comitati scientifici (foglia di fico dietro la quale il Ministero nasconde la sua ignavia) sono in realtà Comitati politici è bene ricordare che nella risposta alla “inesistente” richiesta della regione Piemonte si obiettò anche che non era possibile abbattere alcun capo a causa della “sensibilità dell’opinione pubblica” (aspetto questo del tutto non pertinente con un parere sul piano gestionale).Quanto avviene in materia di controllo numerico del lupo (non un capo può essere abbattuto legalmente nonostante ricorrano tutte le circostanze previste dalla Direttiva habitat  per l’attivazione delle deroghe al regime di protezione)  rappresenta un classico esempio di italica ipocrisia. Dopo “Divorzio all’italiana” di potrebbe girare un film: “Controllo del lupo all’italiana”. In realtà il bracconaggio non esiste o, nel caso del lupo, è realtà marginalissima (come quel balordo genovese, caso unico di bracconiere di lupi condannato, che ostentava al collo una collana con le zanne di sei lupi da lui uccisi). Nel 99% dei casi i lupi non sono uccisi da bracconieri ma da pastori, abitanti di località isolate (cacciatori o no) che non si risolvono a rischiare una condanna penale per divertimento, per sport, per senso di sfida ma per legittima difesa, per tutelare la propria attività la sicurezza propria e delle persone con cui vivono e lavorano. L’uccisione dei lupi è percepita dal gruppo sociale dei pastori e degli allevatori e dalle comunità locali non solo come una rischiosa necessità che supplisce all’ipocrisia di stato e alle falsità ambientaliste ma anche come una doverosa e legittima forma di resistenza sociale. Se “passano” i lupi, se essi arriveranno a condizionale la vita locale o a desertificare ulteriormente borgate e vallate minori allora per la montagna per le alte colline interne non c’è speranza. Infine c’è la componente di protesta (le carcasse o i trofei ostentati) che, però, riguarda solo poche situazioni di particolare esasperazione. Nella stragrande maggioranza dei casi chi elimina il lupo cerca di farlo nel massimo silenzio facendo sparire ogni traccia.

Quando il Piano lupo proclama la necessità di una lotta diretta al “bracconaggio” fa solo un esercizio di propaganda. Il “bracconaggio” non esiste ed essendo una forma di legittima difesa e di resistenza sociale l’approccio repressivo e le ritorsioni non possono che esasperarlo. Dal momento che il controllo illegale del lupo è non solo importante ma necessario i piani antibracconaggio si tradurranno in sperpero si spesa pubblica e in qualche esibizione “muscolare” di facciata.

La lotta “diretta” alle cause di mortalità antropogenica non ci sarà. Fa troppo comodo che i lupi vengano eliminati in silenzio consentendo alle istituzioni (che dopo il caso Daniza tremano all’idea di dover giustificare, di fronte ad un’opinione pubblica aizzata dagli animalisti , l’uccisione legale di orsi e lupi). Se il Piano perseguisse sul serio la riduzione della mortalità si assisterebbe ad un aumento del tasso di crescita non solo nelle aree di espansione (Alpi) ma anche sugli Appennini.

Il Piano pertanto quando proclama di voler “conservare” la popolazione in realtà non riesce a dissumulare che quello che persegue non è solo l’espansione territoriale sulle Alpi ma l’aumento numerico delle popolazioni lupine. Proclamare, che in Toscana o in altre regioni “calde” i lupi debbano aumentare è politicamente “complesso” e quindi si finge di perseguire la “conservazione”. L’ipocrisia si rileva nella reticenza nell’ammettere la condizione di incremento numerico e di espansione di areale della specie (studi scientifici lasciano ritenere che la consistenza reale della popolazione lupina italiana raggiunga e superi i duemila individui ). In realtà l’obiettivo è quello di mantenere ai livelli attuali il “bracconaggio” così da ottenere in presenza dell’aumento dei branchi (sulle Alpi e sugli Appennini), in presenza di una progressiva “ritirata” dell’uomo, un aumento numerico fino ad avvicinarsi agli obiettivi indicati dalle mappe di “vocazionalità territoriale”. Esse, non tenendo conto della presenza delle attività umane (tranne le strade in quanto ostacolo e causa di mortalità del lupo), basandosi solo sulle caratteristiche orografiche e vegetazionali dei territori, facendo finta che l’uomo si sua già estinto,  arrivano a preconizzare la presenza di 2000 lupi solo sulle Alpi.

Non mancano nel Piano affermazioni palesemente prive di ogni fondamento oggettivo quando non palesemente false e fuorvianti. Così come quando si reitera l’identificazione del capro espiatorio dell’ibridazione nei pochi allevamenti di   Cane lupo cecoslovacco sfidando impavidamente l’ovvio rilievo che si tratta di un numero esiguo di esemplari di grande valore commerciale il cui abbandono o rilascio non può spiegare che una frazione infinitesimale del fenomeno. Le osservazioni velatamente critiche sulla gestione dei Centri di recupero e degliZoo del lupo (di cui non si può fare a meno di rilevare i costi esorbitanti ma anche la discutibile gestione della riproduzione in cattività e nel rilascio di soggetti dopo lunghi periodi di contatto con l’uomo) lasciano intendere che la presenza di ibridi e di lupi non autoctoni allo stato selvatico non può essere ascritta solo al mancato controllo o abbandono da parte di cacciatori, contadini residenti in aree rurali ma anche ad altri fenomeni illeciti di tutt’altra natura.

A fronte della costante riduzione della popolazione rurale, degli allevatori e dei cacciatori e quindi alla tendenziale contrazione di almeno alcune delle componenti del fenomeno dei cani vaganti l’aumento della presenza di ibridi è palesemente da mettere in relazione alla conquista da parte del lupo di areali antropizzati dove era stato eradicato in tempi precedenti al secolo. Tale conquista è il risultato della scelta di non controllare la specie ma di lasciare a sé stesse le dinamiche di espansione territoriale. Una scelta ideologicamente lupofila che fa pagare (non paradossalmente) al lupo lo scotto della sua strumentalizzazione come bandiera. Uno scotto che si traduce in una penalizzazione dell’integrità genetica del lupo vittima di un “successo biologico drogato” (agevolato), non controbilanciato dalla prudenza nell’evitare l’espansione in aree non storiche e non vocate contigue a quelle a forte antropizzazione.

 

Ma la prova provata che l’obiettivo del Piano non è la “conservazione” ma l’espansione geografica e l’incremento numerico è rappresentata dalle condizioni poste dalle deroghe. Delle varie (sono cinque) fattispecie di attivazione delle deroghe il Piano ne salva solo una (quella legata alla sicurezza e a gravi conflitti sociali). Dimostrando che la consistenza del lupo deve essere considerata variabile indipendente e che gli interessi economici degli allevatori sono una variabile dipendente il Piano non prende in considerazione la fattispecie contemplata dalla Direttiva Habitat del “grave danno economico”. Sostituendosi al legislatore il Piano cassa questa previsione come non fondata scientificamente e sostanzialmente afferma che l’attivazione della deroga non deve essere messa in relazione alla pressione predatoria. In realtà il principio della teorica possibilità di ricorso alla deroga per consentire alla rimozione di singoli capi sottostà a tali e tante condizioni da determinarne di fatto la certa inapplicabilità della previsione. Per di più mentre in altri paesi europei con popolazioni lupine molto meno consistenti (sia in termini assoluti che di densità territoriale) si attua un prelievo del 10% (in Francia quest’anno è possibile abbattere 36 esemplari su una popolazione stimata di poco più che 300 capi e lo stesso vale in Svezia con il prelievo di 20 su 200) il Piano prevede che il numero di capi abbattuti non possa eccedere il 5% del valore della stima al ribasso. Giocando sulla mancanza di stime precise (per le quali si richiedono cospicui finanziamenti per studi e ricerche “complesse, lunghe e costose” ovvero per mantenere in efficienza la macchina lupologico vitaminizzata da 18 progetti Life) il numero di capi ammissibili sarà irrisorio. Ma sarà praticamente impossibile trovare un comune che soddisfi contemporaneamente a tutti i requisiti incrociati previsti (presenza di danni spra la media, monitoraggio, assenza di bracconaggio ecc. ecc.).

Se il numero degli abbattimenti legali sarà sempre uguale a zero e se le consistenti risorsi e molteplici azioni a contrasto del bracconaggio saranno sia pur parzialmente efficienti l’espansione del lupo è assicurata. E in questo quadro, in questa tela di ragno abilmente tessuta dalla lupocrazia, il problema del conflitto si risolverà con la sparizione in molte aree del paese dell’attività venatoria e pastorale. A cosa serve dunque la previsione di un sia pure minimo controllo?

A dimostrare, come ammette lo stesso Piano una “flessibilità” di facciata, furbesca, che non esiste. Servirà solo ad ostacolareun coagulo di consenso intorno alle popolazioni rurali e montanare che si oppongono alla diffusione del lupo contrastando quella erosione del l’accettazione sociale generica a favore di “Grandi predatori” mitizzati che si verifica quando essi si materializzano come problema e minaccia concreta, non di remote “aree marginali” ma di aree con forte densità abitativa. E’ l’effetto che deriva dallo scoprire che i profeti dei Grandi predatori ignorano semplicemente che l’Italia è – nonostante urbanizzazione e stati demografica – un paese con una densità umana superiore di diversi ordini di grandezza agli sconfinati scenari nordamericani dove l’ideologia conservazionista, parchista, grandipredatorista si è sviluppata per essere importata come strumento di colonizzazione culturale e di trasformazione socioterritoriale nel senso gradito ai grandi interessi economici mondiali.

Scienziati francesi con i pastori (contro i lupi)

Pubblicata il 13 ottobre 2014 sul quotidiano francese Liberation e sottoscritta anche da Carlin Petrini, fondatore di Slow Food

(qui l’originale in francese)

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Appello perché gli ecosistemi non siano abbandonati dai pastori

I nostri paesaggi emblematici di montagne, colline e paludi sono costituiti di un mosaico di ambienti operato nel corso dei secoli dalle pratiche contadine. La vitalità di questi spazi, sempre più apprezzati dalle nostre società urbanizzate, si degrada velocemente quando non sono più mantenuti e curati per il pascolo delle greggi. Ora, in numerose regioni, le greggi subiscono l’assalto dei lupi. Cosa fare? La gravità della situazione richiede l’adozione di misure di emergenza, sul terreno come nel campo normativo. Giudicati in pericolo di estinzione in Europa, i lupi sono una specie rigorosamente protetta. Nel Grande Nord americano come eurasiano, sono considerati come ” specie chiave di volta”  degli ecosistemi, bio-indicatori di una natura tornata o rimasta selvaggia. In Francia, dove la geografia e la storia sono molto diverse, i lupi manifestano il loro comportamento opportunista. Secondo le opportunità, trascurano la loro funzione di “regolatore” degli animali selvaggi, indeboliti o malati, e si attaccano frequentemente alle greggi di allevamento in perfetta salute.

In modo paradossale, è l’allevamento pastorale, una delle nostre agricolture più rispettose della biodiversità, inoltre riconosciuta come produttrice di una varietà di servizi ecosistemici, che i lupi, adornati dello statuto di protezione rigorosa, stanno minacciando di far sparire.

Dal 1992, delle direttive europee si adoperano a promuovere la gestione degli ambienti agropastorali che hanno resistito alle banalizzazione e artificializzazione dei paesaggi per colpa dell’agricoltura convenzionale. Infatti, numerose specie notevoli vi hanno trovato rifugio:  coturnìce, pernice, stambecco, gipeto….

I mosaici di prati, lande e prati-boschi, tenuti dal pascolamento, offrono e rinnovano un’ampia gamma di bellezze a chi apprezza anche piante a fiori, insetti, rettili e batraciani. Questa biodiversità è anche domestica, con, tra altre, le pecore raïoles, brigasques emourerous, le capre del Rove e del Poitou, che gli allevatori si danno da fare per conservarle.

Nei parchi nazionali e regionali, nelle riserve e nella natura ordinaria, la preservazione delle biodiversità selvagge e domestiche è un unico e stesso combattimento. La sfida è diventata nazionale. Insediati dovunque nelle Alpi, i lupi hanno ormai raggiunto il Giura, i Vosgi, l’est dei Pirenei, arrivano nell’Ardèche, nella Lozère, nel Cantal e Aveyron, nelle pianure delle Regione Champagne e Lorraine.

Nel 2014, i conteggi ufficiali indicano ventisette branchi di lupi, i due terzi dei quali nelle Alpi del Sud. La popolazione è di 300 lupi adulti, in più di una ventina di dipartimenti francesi, con una crescita di 20% per anno.

Ogni anno, le perdite ufficiali ammontano a venti/venticinque pecore o capre uccise in media da un lupo adulto, ciò è considerevole. Gli attacchi si estendono poi ai vitelli, giovenche, e cavalli. Questi attacchi si svolgono sugli alpeggi, ma anche nelle lande e collinette delle valli, nel sottobosco, e fino sui prati.

Come si è arrivato a questo punto ? Si deve imputare questo flusso crescente delle perdite all’inerzia degli allevatori ? Questo sarebbe far loro una grave ingiuria.

Dal 1994, delle misure di protezione erano proposte agli allevatori e pastori. Questi li hanno attuate. Nelle Alpi, hanno acquistato più di duemila cani di protezione. I pastori si sono assoggettati, per quanto possibile, a riportare ogni sera i loro greggi in parchi elettrificati, degli aiuto-pastori hanno rinforzato le sorveglianze.

Queste misure si sono rivelate efficaci ? Ci fu una tregua tra 2006 e 2009. Ma dopo, da allora, nulla funziona più! Malgrado una protezione aumentata, le perdite si sono raddoppiate in quattro anni. Allevatori e pastori hanno adattato le loro pratiche, ma anche i lupi, cosicché  visibilmente essi sono sul punto da prevalere. Malgrado  i cani di protezione, i lupi ora attaccano di giorno e di notte. Invece in modo più preoccupante si constata che la presenza umana non li dissuade più. I lupi hanno percepito il loro privilegio di esser protetti tanto da ripetere i loro attacchi senza rischio, compreso vicino alle strade e abitazioni. Questo cambiamento di comportamento era prevedibile.

Negli Stati Uniti, è conosciuto da molto tempo, dentro e vicino ai parchi nazionali, dove i gestori lottano ogni giorno contro gli effetti perversi della protezione integrale delle specie. Incitare la grande fauna a conservare un comportamento selvaggio nei nostri paesi esigerebbe una regolazione di continuo allarme, molto violenta.

Una conclusione si impone: i dispositivi di protezione più elaborati sono stati svalutati in pochi anni. Diverse tecniche complementari sono proposte, razzi illuminanti, generatore di ultrasuoni, droni sonori. Queste tecniche impauriscono sicuramente più le greggi che i loro predatori. I lupi sono intelligenti ed inventivi. La strategia europea di coesistenza delle attività di allevamento con questo grande predatore protetto è fallita, deve essere rimessa in questione. Al di là dei costi finanziari, le sfide ecologiche ed umane si amplificano e rimangono indissociabili.

La Francia si è impegnata presso l’Unesco a preservare i paesaggi culturali dell’agropastorizia delle Causses e Cévennesiscritti al patrimonio mondiale dell’umanità. Nelle Cévennes, come dovunque altrove nell’esagono, il ripiegamento delle attività pastorale provocherà il divenire della boscaglia e la degradazione degli habitat e di una litania di altre specie protette.

Ovviamente, questa prospettiva non richiama allo statu quo: i paesaggi sono viventi, i loro protagonisti non hanno smesso di evolversi. Alcune associazioni che ieri raccomandavano la ” convivenza”, oggi richiedono il ripiegamento dell’allevamento pastorale.

Ma il nostro paese non è il Wyoming ne il Montana. Allevatori e pastori di Francia non meritano di essere squalificati, espropriati. Questi uomini e donne sono appassionati, ispirati dal rispetto del vivente, si sono impegnatati nei mestieri esigenti, modestamente rimunerativi.

Siamo ancora in tempo per ridisegnare un avvenire per queste campagne ? Di impedire l’esclusione e l’emarginazione di contadini che si danno da fare per fabbricare dei prodotti locali di qualità, pure facendo vivere dei paesaggi diversificati ed accoglienti ? Si può ancora incitare i lupi a rimanere ” selvaggi” « facendo  loro capire » di conservare la dovuta distanza dalle attività di allevamento?

Le nostre società hanno bisogno di ecosistemi e di paesaggi diversificati. Molti funzionano e si rinnovano grazie al meticoloso lavoro dei pastori ed allevatori. La situazione divenendo per loro insostenibile, è sul punto di perdere il valore straordinario di questo patrimonio di  ecosistemi e paesaggi a causa dei lupi. S’impone un nuovo ripensamento dell’intero concetto  visione regolazione. È purtroppo già molto tardi. Forse, però, non è ancora troppo tardi.

Firmatari :

Gilles Allaire  Economista (Inra)

Gérard Balent  Ecologo (Inra)

Olivier Barrière  Giurista (Istituto di ricerca per lo sviluppo, IRD)

Claude Béranger  Zootecnico (Inra)

Jean-Paul Billaud  Sociologo (CNRS)

Jean-Luc Bonniol  Antropologo (Università Aix-Marseille)

Anne-Marie Brisebarre  Antropologa (CNRS)

Bernard Denis  (Scuola veterinaria, Nantes)

Vinciane Despret  Filosofo (Università di Liege)

Christian Deverre  Sociologo (INRA)

Jean-Pierre Digard  Antropologo (CNRS)

Laurent Dobremez  Agronomo (Istituto nazionale di ricerca scientifica e tecnologica per l’ambiente e l’agricoltura, Irstea)

Jean-Claude Duclos  Etnologo

Laurent Garde  Ecologo (Centro studi e realizzazioni pastorali Alpi-Mediterraneo, Cerpam)

Alfred Grosser  Professore emerito Sciences-Politique

Laurent Hazard  Agroecologo (Inra)

Bernard Hubert  Ecologo (Inra et EHESS)

Gilbert Jolivet  Veterinario (Inra)

Frédéric Joulian  Etologo ed antropologo (EHESS)

Étienne Landais  Zootecnico (ex-DG Montpellier SupAgro)

Guillaume Lebaudy  Etnologo (Università Aix-Marseille)

Bernadette Lizet  Etnologa (CNRS e Museo di Storia Naturale , MNHN)

Michel Meuret  Ecologo (Inra)

André Micoud  Sociologo (CNRS)

Danielle Musset  Etnologa (Università Aix-Marseille)

Pierre-Louis Osty  Agronomo (Inra)

Michel Petit  Economista (Istituto agronomico mediterraneo di Montpellier, IAM)

Carlo Petrini  Sociologo, Fondatore e Presidente di Slow Food International

Xavier de Planhol  Geografo (Università Paris-Sorbonne)

Sylvain Plantureux  Agronomo (Università di Lorena)

Jocelyne Porcher  Sociologo (Inra)

Daniel Travier  Etnologo, (Museo delle Valli delle Cevenne)

Pierre-Marie Tricaud  Agro paesaggista  (Federazione francese dei paesaggi, FFP)

Marc Vincent  Zootecnico (Inra).

(1) Il Bocage : un particolare tipo di paesaggio rurale che comprende piccoli boschi, siepi naturali e paludi frammiste a terreni coltivati di forma irregolare recintati, particolarmente presente nelle regioni nord-occidentali della Francia, come in Bretagna o in Normandia, e nel Regno Unito.

Festival del PastoralismoR