Festa della pecora gigante bergamasca
Vieni alla Prima Festa della pecora gigante bergamasca che si svolgerà il 14 e 15 maggio 2022 al Palaspirà (Spirano – Bg)
Come arrivare al Palaspirà (dalla A4 provenendo da Milano uscire a Capriate e seguire per Zingonia e Strada Francesca – dalla A4 provenendo da Brescia uscire a Seriate, percorrere Tangenziale Sud sino a Comun Nuovo) ampia disponibilità di parcheggi (vedi mappa). I camperisti sono benvenuti e possono parcheggiare nell’ampio Piazzale del Mercato).
PROGRAMMA PER BAMBINI CON GIOCHI E SORPRESE (da portare a casa). CUCINA PER BUONGUSTAI MA ANCHE PIATTI PER BAMBINI. SERVIZIO BAR (vino, birra alla spina, bibite, panini)
Un’occasione unica per conoscere da vicino il mondo dei pastori e la pecora bergamasca

Spirano è un paese di 2000 abitanti a 15 km a Sud di Bergamo; un tempo cinto da mura, conserva edifici fortificati. Suggestivo il centro storico con l’ellittica Piazza Libertà. Da segnalare il Monumento alle Torri Gemelle. Il Palaspirà è una struttura moderna e funzionale per gli eventi della comunità che ha visto svolgersi anche eventi di interesse sovralocale.
Il gregge che sfilerà Domenica in tarda mattinata per le vie del paese è un gregge locale che pratica la transumanza svernando sulla vicina asta del Serio e trasferendosi per l’alpeggio in val di Scalve.
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In ricordo di Tino Ziliani
Il Festival del pastoralismo intende dedicare a Tino Ziliani, che fu tra gli attivi promotori della prima edizione nel 2014, un evento – dedicato alle greggi e ai pastori – da tenersi in primavera a Spirano (Bg). Tino è scomparso improvvisamente il 24 febbraio e vi è il fondato timore che anche l’anniversario non potrà essere l’occasione per quella commemorazione che gli amici di Tino aspettano. Non è certo il caso di organizzare una commemorazione online. Anche l’appuntamento di primavera, a metà aprile, non è affatto al riparo dalle misure Covid.
In qualche modo è però giusto ricordarlo – senza aspettare le calende greche – con delle qualcosa che vada al di là del necrologio. Michele Corti, presidente del Festival del pastoralismo, che ha seguito, sin dalla nascita nel 2000, l’Associazione pastori camuni (poi “lombardi”) presieduta da Tino, ha scritto una traccia di una biografia di Tino che potrà essere ampliata quando sarà possibile spostarsi, incontrare di persona i parenti, gli amici, i tosatori, i pastori e ricostruire la sua figura come essa merita.
Tino Ziliani e l’Associazione Pastori lombardi
Si fanno più gravi gli attacchi dei lupi nel comasco
(20.08.17) Dopo la Valbrembana, dove un lupo nelle scorse settimane ha ucciso in ripetuti attacchi 26 pecore , arrivano notizie allarmanti dal comasco. Qui in val Cavargna, 30 capre risultano morte o disperse a seguito dell’attacco di un branco. Insieme alle notizie che arrivano dalla montagna veneta questi episodi indicano che è in atto una vera e propria escalation. Che condurrà ad una conflittualità come mai si era vista prima in Italia. Le avvisaglie si hanno già in Lessinia dove la situazione è letteralmente scoppiata al partito del lupo e alle istituzioni (come è successo in Trentino con Life Ursus). Ma un nuovo fronte caldo sta nascendo in Lombardia.
L’estate 2017 segna una svolta nella vicenda della reintroduzione del lupo sulle Alpi. I branchi aumentano in rapidissima progressione (5 solo in Veneto, da uno che erano – “ufficialmente” – sino a soli due anni fa. Ma come stanno le cose in Lombardia, regione sino ad oggi solo marginalmente colpita dagli attacchi del lupo agli animali domestici?
Il lupo in Lombardia: una presenza che risale a decenni fa, ma che solo oggi diventa palese e impattante
Il ritorno del lupo sull’Appennino pavese data a quarant’anni fa. I branchi, però, sono decisamente aumentati negli ultimi anni. Hanno causato gravi danni nel 2014 a Rocca Susella ad un pastore transumante con la perdita di decine di pecore, per la maggior parte cadute – per il terrore – nel torrente Staffora e trascinate sino al Po. I lupi appenninici si spingono sempre più spesso in pianura dove, nel parco regionale del Ticino, tra le province di Pavia e di Milano, si è già formato un branco (non ancora “ufficiale” ma è ammessa la presenza di una coppia e vi sono stati avvistamenti).
Tra le province di Sondrio, Bergamo e Brescia la presenza del lupo (specie nella zona del Mortirolo) è segnalata dal 1999. Negli ultimi anni gli avvistamenti si sono intensificati e, quest’anno, a un lupo è stata attribuita, per la prima volta, una sigla (So M01, maschio n.1 della provincia di Sondrio) e una carta di identità genetica. Con molte probabilità sulle Orobie il branco si è già costituito anche se, come al solito, i parchi, le province (Bergamo e Sondrio) e WolfAlp, tengono tutto ben nascosto secondo una prassi sistematica di “opacità” (per non dire peggio).
Quanto al resto della provincia di Sondrio (Valchiavenna, area di Tirano e Ponte) le presenze sono ancora meno sistematiche anche se da anni vi sono avvistamenti e sporadiche predazioni (quest’anno almeno tre denunce). Preoccupa la presenza di un branco nel canton Grigioni (anche se non in prossimità dei confini), formatosi tre anni fa. Intanto il lupo che ha colpito a Foppolo pare si sia spostato in val Cervia dove avrebbe predato una decina di ovicaprini. Non vi sono conferme ma la notizia rimbalza tra Foppolo e Cedrasco. Silenzio tombale, anche in questo caso, da parte della provincia di Sondrio e del Parco. Non si vuole fare allarmismo. Popolazioni e allevatori devono fare la fine della rana bollita: assuefarsi a poco a poco all’idea del lupo senza reagire. Tutti (nella politica lombarda) continuano, per ora, a inneggiare al lupo e alla biodiversità di cui sarebbe il campione (secondo un mantra trito e ritrito che ha molto a che fare con la propaganda di stile nazionalsocialista e poco con l’ecologia). Quando le predazioni aumentano le banderuole gireranno dove il vento dell’opportunismo politico suggerirà di riorientarsi (vedi i salti mortali tripli carpiati della Regione Veneto).
I protettori del lupo tengono il più possibile a lungo nascosta la realtà: le vittime sono complici dei carnefici
Le istituzioni cercano di tenere nascosta la presenza dei lupi aiutati da quegli allevatori e pastori che pensano di “risolvere il problema in silenzio” (o che semplicemente non hanno nessuno cui affidare gli animali o cui far svolgere i lavori agricoli e che non possono permettersi di perdere mezze giornate con le denunce e le procedure). Come abbiamo avuto modo di riferire nell’articolo della scorsa settimana sulle predazioni a Foppolo, è stato solo grazie alle fototrappole piazzate da un giovane pastore (che ha riferito direttamente ai media dell’accaduto) se gli attacchi in val Brembana sono stati resi pubblici (prima da Ruralpini, a ruota da Eco e Bergamonews che avevano il nostro comunicato).
Del resto anche la presenza dei lupo nel parco del Ticino è stata svelata solo grazie alle fototrappole posizionate da un pastore che aveva “beccato” la lupa a maggio e che aveva subito in due occasioni la perdita di agnelli. Nel comasco, nella val Cavargna e nella valle Albano (valli tra Lario e Ceresio), sporadici danni si registrano a partire da 2012. Anche quest’anno c’è stata una denuncia a Dosso del Liro. Il branco della val Morobbia, valle che è in comunicazione con il Lario attraverso il passo di San Jorio, è già alla terza cucciolata (nella foto sotto, dell’ufficio caccia e pesca del canton Ticino, l’ultima cucciolata di quattro lupacchiotti).
Anche ammesso che qualche giovane delle cucciolate precedenti sia morto per cause naturali o per il controllo (un controllo “fai da te” ma reso necessario dalla latitanza delle istituzioni), c’è da credere che i primi nati, che hanno già raggiunta la maturità sessuale (hanno due anni e mezzo) si stiano disperdendo e possano mettere su la loro nuova famiglia. Quindi i guai grossi iniziano ora. Allevatore, cacciatore, pastore avvisato mezzo salvato.
La coppia “originaria” di lupi è stata fototrappolata dalla polizia provinciale a dicembre 2015, dopo che nell’estate al confine tra la val Cavargna e la Svizzera un gregge di 120 ovini aveva subito 43 perdite.

Il branco iniziale della val Morobbia è nel suo comportamento transfrontaliero (come, del resto, quelli al confine tra Piemonte e Francia), ma chi impedisce ai nuovi branchi di insediarsi stabilmente nelle valli del Lario e del Ceresio? Nessuno (tranne i pastori, gli allevatori, i cacciatori, ovviamente ma sempre operando, per forza maggiore, fuori da una legalità ingiusta).
L’ultima predazione in val Cavagna
Sabato 19 agosto è apparsa su la Provincia di Como la notizia del più grave attacco da parte dei lupi mai avvenuto (da un secolo in qua) in provincia di Como (una trentina di capi caprini tra uccisi e dispersi). A dare la notizia l’alpeggiatore, Carlo Panatti e il sindaco di Cusino, Francesco Curti (anche lui allevatore di capre). Questo attacco, a parte i numeri, è grave perché colpisce animali in lattazione, caricati presso l’alpe di Rozzo, il fiore all’occhiello del comune di Cusino che, negli anni, ha effettuato importanti investimenti per il miglioramento delle strutture e delle infrastrutture dell’alpe, Non solo a supporto dell’attività zootecnica e casearia, ma anche in funzione dello sviluppo ecoturistico. Ma che ecoturismo può svilupparsi se scorazzano branchi di lupi, prevedibilmente presto contrastati da mute di aggressivi cani mastini da difesa? Nessuno perché i fanatici del lupo sono quattro gatti e hanno un sacco di posti in Italia e nel mondo dove esercitare la loro spesso morbosa passione.
Purtroppo la gente di città, che dice di amare gli animali, vede nelle conseguenze della predazione solo un danno economico: “tanto ve le risarciscono, di cosa vi lamentate”. Rispetto alla sofferenza degli animali domestici predati scatta un meccanismo che blocca ogni reazione di compassione, mentre lo stesso filtro ideologico provoca l’amplificazione esasperata dei sentimenti a favore dei grandi predatori. Solo le immagini più crude riescono a smuovere l’indifferenza degli “amici degli animali”. Per questo sono accuratamente censurate sui media e persino sui social. Ecco perché è giusto far vedere le immagini che l’allevatore ha scattato alle sue capre morte, ferite, moribonde.
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L’episodio di predazione in val Cavagna è stato reso pubblico sabato scorso, quando le guardie della polizia provinciale si sono recate in loco per i rilievi (hanno anche eseguito dei tamponi per ricavare materiale biologico utile alle analisi del dna). Ma le perdite si riferiscono ad una serie di ripetuti attacchi serali che sono iniziati già alla fine di luglio. L’allevatore ha visto scomparire per primi alcuni capretti. I capretti, si sa, tendono facilmente a smarrirsi seguendo degli escursionisti o perdendo il contatto con il gregge. Così Carlo Panatti si è recato per cercarli sugli alpeggi di Garzeno, la località – famosa, specie la frazione Catasco – per l’allevamento caprino e i formaggi caprini. Garzeno è nella valle Albano, al di là della cima del monte Bregagno.
Sopra l’area tra la val Cavagna e la valle Albano dove si sono verificati gli attacchi dei lupi. Sotto la sua individuazione nell’area lariana
Grande è stata la preoccupazione di Carlo Panatti quando ha appreso dai caprai di Garzeno che anche a loro erano spariti capretti, attribuendo la causa ai lupi. Dopo qualche giorno gli attacchi si sono verificati sui pascoli di Rozzo, ripetuti a distanza di due giorni nelle ore serali. In alcuni casi l’allevatore si è accorto dell’attacco in atto dai belati disperati e dallo strepito dei campani causato da fughe precipitose, ma in occasione dell’ultimo attacco l’allevatore ha anche scorto tre sagome di lupo. A questo punto è stata fatta la segnalazione alla polizia provinciale e le guardie e i veterinari della Ats sono venuti a constatare le lesioni sulle carcasse. L’allevatore si è anche preoccupato di documentare fotograficamente la presenza di orme e di fatte. Ma perché se non diventi Sherlok Holmes non sei creduto. Che logica c’è nel mettere a capo del danneggiato l’onere della prova?E ci si domanda anche se tutto ciò sia legittimo o un abuso.
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Le circostanze della predazione non lasciano margine di dubbio sulla responsabilità dei lupo. L’analisi del dna più che confermarla tenderà semmai a individuare l’identità dei singoli soggetti responsabili per capire come si sta evolvendo il branco (o i branchi).
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Impossibile tenere le capre rinchiuse di notte
Con estate caldi come questa anche a quote non troppo basse si deve adottare il pascolo serale. Di giorno le capre riposano – in luogo protetto – all’ombra della sòstra (foto sotto di fine giugno), di sera vanno a pascolare al fresco. Quando gli ambiental-animalisti, e i politici che tendono a blandirli, sostengono che si può “convivere con il lupo” dimenticano tante circostanze basilari:
1) il lupo era molto meno spavaldo perché sapeva che attacchi aperti ai greggi potevano concludersi male per lui, pertanto colpiva nel modo più rapido e furtivo limitando di necessità i danni; 2) il clima era più fresco e anche a quote basse si poteva pascolare di giorno quando la sorveglianza è più facile; 3) esisteva ampia disponibilità di manodopera, di caprai giovani e meno giovani che di giorno seguivano il gregge anche sui terreni più impervi.
Oggi, se oltre ad adottare anche ulteriori metodi di prevenzione (le mute di cani da difesa in aree di frequentazione turistica, come la montagna lariana, sono comunque problematiche) non si contiene anche la diffusione del predatore molti pascoli sono destinati all’abbandono. Ma senza l’utilizzo dei pascoli l’allevamento e l’agricoltura di queste valli non possono stare in piedi.
Non mi interessa l’indennizzo
Parlando con Carlo Panatti colpisce come egli insista nel dichiarare che per lui l’indennizzo è la cosa meno importante. Pensa ad altre conseguenze, che nessuno può compensare. Vala la pena spiegare agli animalisti ignoranti che blaterano di “compensazioni” che l’indennizzo non compensa il danneggiato ristabilendo la situazione precedente al danno. Per il solo fatto che ciò è spesso impossibile. L’indennizzo consiste in un intervento riparatore di carattere economico non necessariamente commisurato alla effettiva entità del danno sopportato dall’avente diritto, ma agganciato a parametri prestabiliti per legge o per contratto. Senza fare riferimento all’ovvio caso degli indennizzi corrisposti ai parenti della vittima di un incidente o di un omicidio, va richiamato che – anche nel caso degli indennizzi dovuti agli allevatori per le perdite subite dai predatori – il tipo di “riparazione” dipende dalle clausole del contratto che la Regione Lombardia, come altre, ha sottoscritto tramite un brooker con una compagnia assicurativa. Un contratto di copertura dei rischi per questo tipo particolare di “sinistro” ma che come tutti i contratti assicurativi mira a limitare le cifre liquidate. Va precisato che la Regione , nel venire parzialmente incontro agli allevatori, non fa altro che assumersi le responsabilità che derivano dall’essere responsabile della fauna selvatica dal momento che essa è, per l’ordinamento italiano “proprietà indisponibile dello stato” e che tutta la materia (fauna e agricoltura) è di competenza esclusiva delle regioni come chiaramente stabilito dalla costituzione e dalle leggi vigenti. I lupi sono della Regione Lombardia, sia chiaro. Essa, però, per risparmiare aveva inizialmente fissato un massimale di 4 mila € per gli indennizzi, elevato a 6,5 mila € nel 2016. Una sottovalutazione delle conseguenze dell’aumento della presenza dei grandi predatori.
Vi è poi una “franchigia implicita”. Il tempo richiesto per le pratiche, per assistere alle verifiche di guardie e veterinari non giustifica la richiesta di indennizzo per pocchi capi. Così molte predazioni passano inosservate. Spesso anche perché – come già sopra osservato, il pastore preferisce cercare di risolvere il problema da solo, senza clamore. Ma così fa il gioco della lobby del lupo.
Procedure e linguaggi burocratici
La presenza di un massimale in caso di attacchi a bovini e a un numero consistente di ovicaprini, non può coprire il semplice danno della perdita dei capi. Non vi è poi alcun considerazione per le perdite produttive, gli aborti, la morbilità indotta, le cure veterinarie. Viene aggiunto, oltre ai costi di smaltimento (obbligatorio) delle carcasse, un 15% del “costo di acquisto” .. quale “contributo” per il disagio ed il disappunto degli animali al recepimento del nuovo contesto. Un modo un po’ singolare e arzigogolato per indicare un “disagio” che è certo degli animali (che, però, dei soldi non sanno cosa farsene), ma anche degli allevatori, per i quali è certamente meno semplice accudire animali non nati nel gregge.
Per molti allevatori, che curano amorevolmente i loro capi, li selezionano accuratamente, studiano i migliori accoppiamenti, nutrono e curano con particolare scrupolo i giovani animali destinati a dar vita a “linee di progenitori”, la perdita dei animali per loro unici, non è compensabile in termini monetari . Un fatto che vale poco o nulla nelle stalle dei grandi numeri gestite da automatismi e operai e dove la riporoduzione è pianificata dal computrer, ma che conta molto nelle aziende famigliari dove vi è un rapporto personale e affettivo con gli animali. Quando Carlo Panatti sottolinea di non essere interessato all’indennizzo fa presente che “ci vogliono due anni per allevare una capra”. Gli animali non sono pezzi di ricambio intercambiabili, pupazzi, delle macchinette come suppone la mentalità urbana condizionata dalla civiltà industriale e consumistica.
Il danno alla produzione di latte e formaggi … e alla famiglia
Le capre sopravvissute, alcune ferite leggermente e curate con antibiotici (con i loro tempi di sospensione che costringono a gettare via il atte), ma anche le altre, fortemente stressate, hanno ovviamente calato la produzione di latte. Venendo meno il latte degli animali uccisi e dispersi, mancando gli animali di alcuni piccoli proprietari che, spaventati, hanno riportato a valle le loro capre, calata la produzione delle capre rimaste (un calo che, dopo la metà di agosto, non potrà più essere recuperato), il latte da lavorare è crollato e la produzione di formaggi anche. Un danno serio per la piccola azienda di Carlo Panatti e della moglie Simona Maffioli che, tutte le settimane, partecipa ai mercatini contadini della provincia di Como. Per una piccola azienda che si regge sulla vendita diretta restare con poco prodotto significa perdere clienti. Tutte conseguenze “collaterali” che le assicurazioni, la regione, gli ambiental-animalisti da salotto e da tavolino ignorano. Un attacco predatorio ad un’azienda famigliare porta anche ad altre conseguenze, scompiglia programmi e abitudini. “Dopo due anni che non andiamo volevo portare le bambine al mare qualche giorno, ma come faccio in questa situazione a lasciare su mio suocero e l’aiutante straniero?”.

Lo sguardo triste ma dolce di una capra ferita. Il lupo non è riuscito ad approfondire le zanne nel collo limitandosi a lacerare la pelle e il “pendente”. Pare che dica: “Perché voi che dite di amare gli animali mi odiate tanto? Perché godete se mi sbranano i lupi per i quali fate tranto il tifo. Non sono anch’io un animale, non ho diritto di vivere, di pascolare senza il terrore del lupo?”.
E ora?
Dopo tanti “assaggi” sanguinosi l’estate 2017 segna l’escalation degli attacchi da lupo sulle Alpi centro-orientali. Violentissima in Veneto, seria anche in Lombardia. Le conseguenze politiche non saranno indolori: la regione Veneto annaspa tra dietro front, annunci di ritiri da WolfAlp, dichiarazioni contraddittorie di Zaia, pose di recinzioni alte 120 cm che fanno ridere i polli. Zaia riesce, nella stessa dichiarazione, a dire che “i lupi stanno distruggendo l’ecosistema della montagna veneta” ma anche che “sono intoccabili”, facendo finta di dimenticare che questa primavera la Regione Veneto, rimangiandosi il parere favorevole precedentemente espresso, ha bocciato (per via delle pressioni animal-ambientaliste) il piano lupo redatto da Boitani e sostenuto dalla lupologia meno estremista che prevedeva un limitatissimo controllo del predatore. La regione a guida leghista questa volta non può prendersela con Roma , con un ministro dell’ambiente che continua a sostenere che la fine della protezione assoluta del lupo è necessaria perché ci sono aziende zootecniche che stanno chiudendo per una pressione predatoria insostenibile. Le istituzioni vanno in tilt e scontentano tutti (come avvenuto per il progetto Life Ursus in Trentino).
In Veneto e Lombardia il lupo può impattare molto più pesantemente del Piemonte. Considerazioni estranee alla lupologia “scientifica” che astrae completamente da considerazioni territoriali, sociale, economiche e vede solo nelle Alpi un territorio “vocato”. A livello di singole aziende, che in Piemonte soffrono numerose il problema, l’impatto è forte ma a livello di sistema non provoca reazioni al di sopra della soglia di criticità. A Cuneo e Torino le lunghe valli alpine sono spopolate e poco comunicanti tra loro e molta della zootecnia estensiva e d’alpeggio è indirizzata alla carne non coinvolgendo filiere e, per sua sfortuna, godendo di accrediti politici blandi. Conta moltissimo, però, anche la gradualità e la mancanza di trasparenza con la quale si è accompagnata l’affermazione della presenza del lupo in Piemonte .
Le Alpi centro-orientali, al contrario, sono un sistema territoriale più denso e connesso, più antropizzato, dove la “rinaturalizzazione” imposta dell’ecototalitarismo comporta conflitti sociali più acuti e mette in campo forze molto più agguerrite a difesa di economie zoocasearie e turistiche. In più c’è l’esperienza del Piemonte (e dalla Francia) che ammonisce a non accettare passivamente la proliferazione dei branchi auspicata e favorita da WolfAlp. Per il partito del lupo la conquista delle Alpi può rappresentare una dura guerra di posizione e un boomerang. Di certo oggi tutta la montagna veneta è in allerta e quella lombarda sta allertandosi. L’avanzata del predatore sarà contrastata e comporterà prezzi da pagare per la lobby del lupo, prezzi che possono mettere in forse anche le posizioni acquisite, le rendite di posizione conquistate quando il lupo era ancora una realtà appenninica e la “campagna delle Alpi” era ancora limitata al Piemonte. Aumentano peraltro anche le spaccature interne al fronte “conservazionista” (o per meglio dire “espansionista”) che, nelle sue componenti meno estremiste, si rende conto dei pericoli per lo stesso lupo di un’avanzata troppo trionfale (vedi la crescente ed estesa ibridazione con il cane domestico e la prospettiva della perdita di identità genetica del lupo italico, ormai non più isolato dalla popolazione lupina balcanica ed ell’Est Europa.
Le lobby ecototalitarie hanno forti interessi alle spalle, desiderosi di desertificare le montagne e di operare un nuovo colonialismo per il controllo del petrolio del futuro, ovvero l’acqua dolce pulita sempre più scarsa, e le altre risorse naturali. Hanno scatenato una guerra per la pulizia etnica di cui gli orsi e i lupi sono solo un tassello, insieme alla burocrazia e al crollo – indotto dalla globalizzazione – dei prezzi dei prodotti agricoli, zootecnici e forestali. Ma a differenza degli anonimi meccanismi della burocrazia e della finanza globale i lupi e i loro sostenitori sono attori ben riconoscibili e la mobilitazione contro la diffusione dei grandi predatori può diventare catalizzatore di una resistenza alpina e rurale più ampia. Per questo la partita è così importante.
Il lupo causa gravi perdite a un gregge della Valbrembana
(11.08.17) A Foppolo, in alta Valbrembana in alcuni giorni di ripetuti attacchi un giovane lupo uccide 26 pecore. Ancora una volta l’onere della prova è a carico del pastore che, per essere creduto, deve posizionare le fototrappole dopo essere stato accusato di essere un bugiardo e un simulatore da alcune delle guardie della polizia provinciale intervenute per gli accertamenti. Dopo anni di presenza “discreta” del grande carnivoro sulle Orobie anche qui il lupo diventa un incubo per i pastori.
Nessuno tra i pastori (parliamo di quelli veri) si faceva illusioni. Se la presenza del lupo sulle Orobie non ha – almeno in base a quanto emerso pubblicamente – impattato sul pastoralismo è solo per alcune circostanze favorevoli (abbondanza di prede selvatiche, presenza di greggi custoditi). Oggi la “ricreazione” è finita: anche i pastori e i malghesi delle Orobie si devono confrontare con quella dura realtà che sperimentano da trent’anni i piemontesi e, da qualche anno, i veneti. In Veneto l’arrivo del lupo ha subito dato inizio ad una serie di sanguinosi episodi di predazione a carico anche di bovini da latte con danni economici pesanti e la creazione di una situazione di conflitto esplosivo. Oggi si parla di almeno cinque branchi sulle montagne venete.

Un lupo fotografato nel 2014 nella zona del Mortirolo, il passo tra la Valtellinba e l’alta Valcamonica
Una presenza che risale al 1999
Sono almeno 18 anni che il lupo è tornato sulle Orobie ma solo da quest’anno un lupo ha avuto una sigla (So M01, maschio n.1 della provincia di Sondrio) e una carta di identità genetica. Mentre le predazioni degli orsi provenienti dal Trentino hanno avuto, negli scorsi anni, ampia pubblicità nelle valli bergamasche e in Valtellina, quelle del lupo o sono state di minore entità o sono passate sotto silenzio per una sorte di “convenzione” tra amici e nemici del lupo.

SoMO1 in un’immagine ottenuta mediante fototrappola nella primavera di quest’anno
I primi fanno di tutto per ridimensionare la presenza e i danni del predatore (in modo che essa possa consolidarsi in assenza di conflitti), i secondi cercano di mantenere il silenzio per attuare un controllo fai da te. Qualcosa si è rotto in questo precario equilibrio.

I precedenti in Valbrembana messi a tacere
I sostenitori del ritorno del lupo a tutti i costi ritengono che per la “giusta causa” qualche bugia non sia peccato (o reato). Così i funzionari provinciali e regionali hanno cercato di minimizzare in questi anni la presenza del lupo, per non creare “allarmismo”. In realtà perché seguono la dottrina del tenere nascosta o ridimensionata la presenza dei grandi predatori fin a che diventa consolidata, un fatto irreversibile, che va accettato e subito senza poter discutere. Nel 2015 una lupa era stata fototrappolata ripetute volte in zona monte Ortighera-Val Parina (territorio di Lenna). In alcune immagini si vedeva anche l’animale con un cucciolo. Ma la Regione tentava di tutto per negarlo. Una funzionaria della direzione generale Sistemi verdi e Paesaggio della Regione Lombardia laureata in agraria e senza competenze specifiche sentenziava: “Potrebbe essere un cane randagio. Servono delle tracce biologiche che, al momento, non abbiamo trovato”.
La lupa fototrappolata in val Parina nel 2015
Un episodio grave che cade in piena stagione d’alpeggio
Gli attacchi sono iniziati alla fine di settimana scorsa, lunedì notte la mattanza peggiore con 16 capi uccisi (qualcuno in fin di vita poi deceduto). Vittime gli ovini di un gregge di 600 capi che pascolano l’alpe Cadelle. Il gregge è in carico a due ragazzi rumeni e a un giovane locale, Alessandro Gherardi, figlio di una comproprietaria dell’alpe che possiede 150 dei 600 ovini. Un ragazzo giovane ma che la montagna la conosce bene. L’alpe è molto vicina al paese.

All’inizio pareva che il predatore non consumasse le sue vittime, poi qualche carcassa è sparita. Vista la mal parata i due pastori rumeni si sono alzati alla baita alta a oltre 2000 m dove l’assenza di vegetazione arbustiva ed arborea (il pascolo è in mezzo alle rocce) rende più facile la sorveglianza. Però il lupo ha attaccato ancora. Sapendo che le guardie della provincia avrebbero – come di rito, -sostenuto che si trattava di un cane, il pastore ha posizionato una fototrappola presso le carcasse (opportunamente celate alla visione dei turisti). La mossa si è rivelata vincente. Le immagini catturate – sottoposte a più di un (vero) esperto – non lasciano spazio ai dubbi.
È probabile che non si tratti di SO MO1 ma di un soggetto più giovane. Forse nell’area del Mortirolo c’è già un branco e questo è un soggetto in dispersione. nella strategia opaca adottata dalle istituzioni (Parchi e provincie) dettata loro dalle lobby ambientaliste, e osservata in barba agli obblighi di informazione dei cittadini e di imparzialità ideologica di organi e funzionari pubblici, non c’è molto da meravigliarsi. Nel parco del Ticino (vedi articolo di ruralpini) solo a giugno, dopo che un pastore, vittima di attacchi, aveva documentato la presenza dei lupi, è arrivata la mezza ammissione della presenza di una coppia. Ma più segnalazioni da parte di cacciatori concorrono a indicare la presenza di un branco (sono stati avvistati almeno quattro esemplari insieme).
Il pastore da vittima a colpevole
Un comportamento grave sarebbe stato tenuto da una delle guardie (le altre, per la verità si sono comportate in modo corretto) che hanno proceduto alla verifica della predazione. I nomi li conosciamo e, qualora servisse, li pubblicheremo. Una delle guardie a subito messo in discussione l’accaduto uscendosene anche con la parola truffa. Se queste circostanze fossero confermate saremmo di fronte ad una calunnia vera e propria con le aggravanti del caso (pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni). Anche da questo punto di vista nulla di nuovo. Il pastore, la vittima, viene messo sistematicamente sul banco degli imputati per difendere il lupo. Una tecnica da regime totalitario, ben esemplificata dalla denuncia per “maltrattamento di animale” contro Angelo Metlicovez che, a luglio, in comune di Trento è finito all’ospedale con ferite alle gambe e al braccio in seguito all’attacco da parte di un’orsa. Dai forestali (che per fortuna non esistono più tranne nelle provincie autonome), da alcuni veterinari pubblici, da guardiaparco ecc. In barba ai diritti civili, all’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, agli obblighi dei pubblici ufficiali.

Dalle lesioni sul collo della povera pecora si può dedurre che la vittima è stata colpita con modalità tipiche del lupo sia pure con un “lavoro poco pulito” (ovvero con presenza di lesioni non riconducibili a quella mortale). Un quadro compatibile con un soggetto senza grossa esperienza, alle prime armi che deve allenarsi (questo spiega l’overkilling) ovvero l’uccisione di molto più capi rispetto a quelli consumati (che si spiega anche con la frenesia ovinicida scatenata dal comportamento delle prede).
Un animale che non si lascia più intimidire dall’uomo (e che quindi diventa un potenziale pericolo)
Ciò che ha colpito il pastore, e che lo preoccupa, è la quasi totale assenza di timore per l’uomo del soggetto responsabile della predazione. Il lupo, due notti fa, è stato “dissuaso” con urla e un potente fascio di una torca ma si è allontanato di poco. Il pastore l’ha anche “incontrato” lungo un sentiero a distanza di 40 m. Facendosi forza non solo no è arretrato o fuggito ma è avanzato urlando. Il lupo si è allontanato ma con tutta calma e senza scomporsi. Esattamente com dicono gli amici pastori e margari piemontesi che, quest’estate, stanno subendo una serie di attacchi. C’è preoccupazione perché siamo a ferragosto e la montagna non è mai popolata come in questi giorni. Sugli alpeggi sono presenti anche famigliari e bambini che vengono in visita e si trattengono per qualche magari per qualche giorno. Chi nasconde la presenza del lupo , diffonde notizie rassicuranti sul suo comportamento “sono secoli che non mangia gli uomini” (cosa del tutto falsa perché molti bambini sono stati sbranati in India pochi anni fa e in Spagna rapimenti e uccisioni di bambini sono state registrate negli anno ’70 del Novecento, senza dimenticare che casi di bambini ucciso dai lupi si sono verificati in Lombardia ancora agli inizi dell’Ottocento).
J’accuse di una pastora: ci uccidono senza sporcarsi le mani
qui l’articolo originale su http://www.ruralpini.it
http://www.ruralpini.it/Una_pastora_ai_signori_del_lupo.html
(28.02.17) Ci uccidete per imporre la vostra civiltà di plastica. Ci uccidete con ipocrisia, camuffando il genocidio con il pretesto di quella natura che state distruggendo e del lupo elevato a bandiera
di Anna Arneodo
Sta nevicando: neve di febbraio, pesante, neve che già sente la fine dell’inverno. Pochi chilometri più a valle è già pioggia; qui è passato stanotte tardi lo spazzaneve, ma ora si sale solo con le catene.
Le stalle sono piene di agnelli: belli, grassi, sono già agnelloni oltre i 30 kg, ma quest’anno nessuno riesce a vendere … la crisi, l’importazione …? Intanto nelle stalle pecore e agnelli mangiano… Fuori del giro dei pastori nessuno si accorge di niente. L’altro ieri ho parlato con un pastore: un gregge di una cinquantina di bestie adulte, la passione che lo teneva vivo per continuare:
« Come vanno le bestie? »
« Ne ho caricate 82, le ho tolte tutte, basta! Non vendi più un agnello, d’estate l’alpeggio, d’inverno il fieno, il lupo, la burocrazia che ti mangiano. Ho chiuso tutto! »
Un’altra sconfitta! Pian piano questa società ci sconfiggerà tutti, chiuderà la montagna, ne farà un grande parco da sorvolare con gli elicotteri, per posarsi sulle punte- eliturismo!- e guardare dall’alto il presepio delle borgate abbandonate. Questo sarà fra poco la nostra montagna!
E intanto: il lupo! Povero lupo, il simbolo ecologico, il simbolo della coscienza sporca di tanta gente, salviamo il lupo! “ La Stampa” di mercoledì 1 febbraio ne ha una pagina piena: non una parola sui pastori, su chi vive e mantiene viva la montagna. Chi scrive, chi protesta, chi difende il lupo e le teorie ecologiste sta in città, ha lo stipendio assicurato, tanto tempo libero per farsi sentire, magari è anche vegano per sentirsi la coscienza pulita.
Noi pastori, allevatori, gente di montagna siamo quassù a presidiare il territorio, a mettere in pratica quotidianamente l’ecologia( ecologia- da “oikos”= casa), noi difendiamo ogni giorno la nostra casa, il nostro paese, il nostro ambiente.

Sopra: Anna fa il fieno con i figli per le sue pecore. Per solidarizzare con Anna scriverle a bram.2010@libero.it
Ma di noi nessuno si ricorda, diamo perfino fastidio, siamo pietra di inciampo. Noi, gente della montagna, che da secoli su questa terre scomode abbiamo saputo creare una cultura, una sapienza di vita per sopravvivere in un ambiente ostile, noi con la nostra storia, la nostra lingua, noi non contiamo niente: l’economia e la politica hanno deciso così.
Vivi ormai quassù ogni giorno con una malinconia, una inquietudine dentro che ti spegne ogni entusiasmo, ogni voglia di combattere.
Ci state massacrando. È un nuovo genocidio della montagna, fatto senza sporcarsi le mani.
Ultima bandiera il lupo.
Anna Arneodo
Convegno a Saluzzo:non si convive con il lupo

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il ritorno “naturale” dei lupi sulle Alpi è un racconto propagandistico. Un’analisi genetica accurata e soprattutto indipendente potrebbe facilmente dimostrare l’origine est-europea della gran parte della popolazione di lupi alpini.I pochi lupi rimasti in Abruzzo negli anni settanta all’interno del Parco nazionale si sono diffusi sugli Appennini, ma non spiegano la comparsa improvvisa nei primi anni novanta di lupi sulle Alpi marittime tra Italia e Francia (quando la Liguria ne era ancora del tutto priva), dapprima solo all’interno o in prossimità dei due Parchi regionali delle Marittime e del Mercantour, né tantomeno analoghe presenze negli stessi anni nel Parco di Salbertrand in Valle Susa. Per anni la presenza fu negata e le predazioni attribuite a cani rinselvatichiti, fenomeno mai esistito sulle Alpi occidentali.
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lupi e pastorizia non possono coesistere nello stesso areale: i predatori vanno allontanati dalle zone di pascolo delle Alpi
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i lupi compromettendo il pastoralismo favoriscono l’avanzare dei boschi e riducono la biodiversità dei pascoli alpini;
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lupi non più abituati ad essere cacciati dall’uomo diventano col tempo una minaccia reale alla vita umana (e non solo per i pochi montanari ma anche per i numerosi escursionisti);
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l’uccisione, ora illegale, di lupi non è bracconaggio, ma legittima difesa della persona e degli animali. Occorre riconoscere il diritto naturale dell’allevatore alla difesa armata del proprio bestiame all’interno dei propri pascoli!
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la colonizzazione dei lupi sull’intero arco alpino, auspicata e pianificata dal recente Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia, redatto dall’Unione Zoologica Italiana per il Ministero dell’Ambiente, è un progetto folle e delirante per chi in montagna lo subisce, ma che nasconde interessi concreti di soldi e finanziamenti per chi lo propone;
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I “Parchi naturali” sono lo strumento amministrativo con il quale tali politiche falsamente ambientaliste vengono imposte alle comunità locali: vanno semplicemente aboliti, risparmiando risorse che potrebbero impiegarsi in modo ben più proficuo per la tutela dell’ecosistema e del paesaggio alpino, da secoli incentrate sull’opera dell’uomo contadino;
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la responsabilità ultima della colonizzazione dei grandi predatori sulle Alpi ricade sulle politiche europee. L’unica soluzione efficace per risolvere a lungo termine il conflitto tra predatori e gente di montagna è mettere in discussione la Direttiva Habitat e uscire dalla Convenzione di Berna: in effetti, la vera specie che rischia ormai l’estinzione sulle Alpi non è certo il lupo, ma l’essere umano, in particolare il contadino e la sua famiglia!
Piano lupo: i lupologi vogliono dettare legge ai pastori

I tempi dei signorotti e dei servi della gleba che la lobby del lupo rimpiange. Oltre che falsamente ambientalista essa è infatti falsamente progressista come dimostra l’identificazione in animali che sono stati simbolo di culture che esaltano la sopraffazione, la violenza, l’aggressività. Non occorre risalire agli ulfendhnar, guerrieri-lupo delle tradizioni norrene, basta pensare alle SS e ai werwolf, gli irregolari nazionalsocialisti operanti dietro le linee nel 1945.
Ovviamente questa governance neoautoritaria conta sul fatto che l’orientamento politico generale è attualmente favorevole allo smantellamento delle autonomie locali, all’eliminazione dei comuni di montagna (auspicabilmente da aggregare a grossi comuni di fondovalle o pedemontani).
E’ palese che nessuno intende sul serio contrastare il “bracconaggio”. Come sostenuto dallo stesso Boitani in più occasioni il bracconaggio toglie le castagne dal fuoco a Regioni, Parchi, ambientalisti, lupocrati. Se non ci fosse il controllo numerico illegale del lupo la specie di espanderebbe eccessivamente anche per i gusti dei lupofili e lupocrati. Crescendo la presenza anche in aree intensamente coltivate e con attività di allevamento intensive contro il lupo si rischia (dal punto di vista lupofilo lupocratico) di suscitate opposizioni forti in grado di compromettere la governance del lupo a livello nazionale. La Lessinia che appartiene al tempo stesso alla realtà montana e a quella dell’allevamento intensivo indica già quali problemi solleva la presenza del lupo in un contesto di zootecnia da latte con un densa presenza di aziende sul territorio parte importante della realtà sociale locale. In Lessinia contro il lupo si sono schierati i sindaci (anche se poi alcuni continuano ad appoggiare il Parco), si sono mosse associazioni di categoria, si è mosso il sindaco di Verona, la provincia. Una reazione che non trova riscontro quando il lupo “picchia” in realtà disperse e marginali. Il “bracconaggio” frena anche l’arrivo del lupo nelle aree periurbane dove, sempre dal punto di vista lupofilo, vi è un rischio molto grave: che l’opinione pubblica alle prime notizie di avvistamenti, “incontri ravvicinati” muti rapidamente l’atteggiamento superficialmente lupofilo in uno lupofobo. La storia del Trentino insegna qualcosa. Quando l’orso ha aggredito e mandato all’ospedale delle persone in comune di Trento o in un comune limitrofo il già declinante consenso alla presenza degli orsi è crollato.Il “bracconaggio” quindi è una manna per gli ambientalisti e le istituzioni ignave. Si tratta di una vera azione di controllo della popolazione. 100-200 capi eliminati ogni anno secondo le stesse stime dei lupologi che nella loro altezzosa arroganza non si preoccupano se esse sono palesemente incompatibili con altri due dati: l’espansione, sotto gli occhi di tutti della specie e l’altro, taroccato, ovvero le stime “ufficiali” della consistenza numerica della stessa. Perché i lupologi tarocchino la stima “ufficiale” della popolazione lupina (ferma a 1000 esemplari) è abbastanza chiaro. Innanzitutto non potrebbero accedere ai canali privilegiati di finanziamenti europei se la specie non fosse in perenne “pericolo” come essi sostengono in barba ad ogni evidenza empirica, in secondo luogo in assenza di una stima certa il Ministero (sentita l’Ispra che a sua volte sente il Comitato scientifico ovvero la lupologia e gli ambientalisti) ha potuto respingere in modo ineffabile le richieste di piani di controllo selettivo più volte avanzate dalle Regioni. Vale la pena di osservare per apprezzare il livello di squallore del Piano che esso riporta che “nessuna regione ha mai avanzato richiesta di attivazione della deroga per l’abbattimento selettivo di lupi”. La sola Regione Piemonte l’ha fatto due volte, la prima quando era assessore all’agricoltura il pd Taricco (oggi onorevole), l’altra quando era assessore l’ex leghista Sacchetto. Eppure tra i firmatari del Piano ci sono anche funzionari piemontesi. Vale la pena ricordare che l’argomento della “mancanza di dati” sollevata – si badi bene – nel caso di una regione che aveva speso milioni con il Progetto lupo per monitorare i branchi . A controprova che i Comitati scientifici (foglia di fico dietro la quale il Ministero nasconde la sua ignavia) sono in realtà Comitati politici è bene ricordare che nella risposta alla “inesistente” richiesta della regione Piemonte si obiettò anche che non era possibile abbattere alcun capo a causa della “sensibilità dell’opinione pubblica” (aspetto questo del tutto non pertinente con un parere sul piano gestionale).Quanto avviene in materia di controllo numerico del lupo (non un capo può essere abbattuto legalmente nonostante ricorrano tutte le circostanze previste dalla Direttiva habitat per l’attivazione delle deroghe al regime di protezione) rappresenta un classico esempio di italica ipocrisia. Dopo “Divorzio all’italiana” di potrebbe girare un film: “Controllo del lupo all’italiana”. In realtà il bracconaggio non esiste o, nel caso del lupo, è realtà marginalissima (come quel balordo genovese, caso unico di bracconiere di lupi condannato, che ostentava al collo una collana con le zanne di sei lupi da lui uccisi). Nel 99% dei casi i lupi non sono uccisi da bracconieri ma da pastori, abitanti di località isolate (cacciatori o no) che non si risolvono a rischiare una condanna penale per divertimento, per sport, per senso di sfida ma per legittima difesa, per tutelare la propria attività la sicurezza propria e delle persone con cui vivono e lavorano. L’uccisione dei lupi è percepita dal gruppo sociale dei pastori e degli allevatori e dalle comunità locali non solo come una rischiosa necessità che supplisce all’ipocrisia di stato e alle falsità ambientaliste ma anche come una doverosa e legittima forma di resistenza sociale. Se “passano” i lupi, se essi arriveranno a condizionale la vita locale o a desertificare ulteriormente borgate e vallate minori allora per la montagna per le alte colline interne non c’è speranza. Infine c’è la componente di protesta (le carcasse o i trofei ostentati) che, però, riguarda solo poche situazioni di particolare esasperazione. Nella stragrande maggioranza dei casi chi elimina il lupo cerca di farlo nel massimo silenzio facendo sparire ogni traccia.
Quando il Piano lupo proclama la necessità di una lotta diretta al “bracconaggio” fa solo un esercizio di propaganda. Il “bracconaggio” non esiste ed essendo una forma di legittima difesa e di resistenza sociale l’approccio repressivo e le ritorsioni non possono che esasperarlo. Dal momento che il controllo illegale del lupo è non solo importante ma necessario i piani antibracconaggio si tradurranno in sperpero si spesa pubblica e in qualche esibizione “muscolare” di facciata.
La lotta “diretta” alle cause di mortalità antropogenica non ci sarà. Fa troppo comodo che i lupi vengano eliminati in silenzio consentendo alle istituzioni (che dopo il caso Daniza tremano all’idea di dover giustificare, di fronte ad un’opinione pubblica aizzata dagli animalisti , l’uccisione legale di orsi e lupi). Se il Piano perseguisse sul serio la riduzione della mortalità si assisterebbe ad un aumento del tasso di crescita non solo nelle aree di espansione (Alpi) ma anche sugli Appennini.
Il Piano pertanto quando proclama di voler “conservare” la popolazione in realtà non riesce a dissumulare che quello che persegue non è solo l’espansione territoriale sulle Alpi ma l’aumento numerico delle popolazioni lupine. Proclamare, che in Toscana o in altre regioni “calde” i lupi debbano aumentare è politicamente “complesso” e quindi si finge di perseguire la “conservazione”. L’ipocrisia si rileva nella reticenza nell’ammettere la condizione di incremento numerico e di espansione di areale della specie (studi scientifici lasciano ritenere che la consistenza reale della popolazione lupina italiana raggiunga e superi i duemila individui ). In realtà l’obiettivo è quello di mantenere ai livelli attuali il “bracconaggio” così da ottenere in presenza dell’aumento dei branchi (sulle Alpi e sugli Appennini), in presenza di una progressiva “ritirata” dell’uomo, un aumento numerico fino ad avvicinarsi agli obiettivi indicati dalle mappe di “vocazionalità territoriale”. Esse, non tenendo conto della presenza delle attività umane (tranne le strade in quanto ostacolo e causa di mortalità del lupo), basandosi solo sulle caratteristiche orografiche e vegetazionali dei territori, facendo finta che l’uomo si sua già estinto, arrivano a preconizzare la presenza di 2000 lupi solo sulle Alpi.
Non mancano nel Piano affermazioni palesemente prive di ogni fondamento oggettivo quando non palesemente false e fuorvianti. Così come quando si reitera l’identificazione del capro espiatorio dell’ibridazione nei pochi allevamenti di Cane lupo cecoslovacco sfidando impavidamente l’ovvio rilievo che si tratta di un numero esiguo di esemplari di grande valore commerciale il cui abbandono o rilascio non può spiegare che una frazione infinitesimale del fenomeno. Le osservazioni velatamente critiche sulla gestione dei Centri di recupero e degliZoo del lupo (di cui non si può fare a meno di rilevare i costi esorbitanti ma anche la discutibile gestione della riproduzione in cattività e nel rilascio di soggetti dopo lunghi periodi di contatto con l’uomo) lasciano intendere che la presenza di ibridi e di lupi non autoctoni allo stato selvatico non può essere ascritta solo al mancato controllo o abbandono da parte di cacciatori, contadini residenti in aree rurali ma anche ad altri fenomeni illeciti di tutt’altra natura.
A fronte della costante riduzione della popolazione rurale, degli allevatori e dei cacciatori e quindi alla tendenziale contrazione di almeno alcune delle componenti del fenomeno dei cani vaganti l’aumento della presenza di ibridi è palesemente da mettere in relazione alla conquista da parte del lupo di areali antropizzati dove era stato eradicato in tempi precedenti al secolo. Tale conquista è il risultato della scelta di non controllare la specie ma di lasciare a sé stesse le dinamiche di espansione territoriale. Una scelta ideologicamente lupofila che fa pagare (non paradossalmente) al lupo lo scotto della sua strumentalizzazione come bandiera. Uno scotto che si traduce in una penalizzazione dell’integrità genetica del lupo vittima di un “successo biologico drogato” (agevolato), non controbilanciato dalla prudenza nell’evitare l’espansione in aree non storiche e non vocate contigue a quelle a forte antropizzazione.
Ma la prova provata che l’obiettivo del Piano non è la “conservazione” ma l’espansione geografica e l’incremento numerico è rappresentata dalle condizioni poste dalle deroghe. Delle varie (sono cinque) fattispecie di attivazione delle deroghe il Piano ne salva solo una (quella legata alla sicurezza e a gravi conflitti sociali). Dimostrando che la consistenza del lupo deve essere considerata variabile indipendente e che gli interessi economici degli allevatori sono una variabile dipendente il Piano non prende in considerazione la fattispecie contemplata dalla Direttiva Habitat del “grave danno economico”. Sostituendosi al legislatore il Piano cassa questa previsione come non fondata scientificamente e sostanzialmente afferma che l’attivazione della deroga non deve essere messa in relazione alla pressione predatoria. In realtà il principio della teorica possibilità di ricorso alla deroga per consentire alla rimozione di singoli capi sottostà a tali e tante condizioni da determinarne di fatto la certa inapplicabilità della previsione. Per di più mentre in altri paesi europei con popolazioni lupine molto meno consistenti (sia in termini assoluti che di densità territoriale) si attua un prelievo del 10% (in Francia quest’anno è possibile abbattere 36 esemplari su una popolazione stimata di poco più che 300 capi e lo stesso vale in Svezia con il prelievo di 20 su 200) il Piano prevede che il numero di capi abbattuti non possa eccedere il 5% del valore della stima al ribasso. Giocando sulla mancanza di stime precise (per le quali si richiedono cospicui finanziamenti per studi e ricerche “complesse, lunghe e costose” ovvero per mantenere in efficienza la macchina lupologico vitaminizzata da 18 progetti Life) il numero di capi ammissibili sarà irrisorio. Ma sarà praticamente impossibile trovare un comune che soddisfi contemporaneamente a tutti i requisiti incrociati previsti (presenza di danni spra la media, monitoraggio, assenza di bracconaggio ecc. ecc.).
Se il numero degli abbattimenti legali sarà sempre uguale a zero e se le consistenti risorsi e molteplici azioni a contrasto del bracconaggio saranno sia pur parzialmente efficienti l’espansione del lupo è assicurata. E in questo quadro, in questa tela di ragno abilmente tessuta dalla lupocrazia, il problema del conflitto si risolverà con la sparizione in molte aree del paese dell’attività venatoria e pastorale. A cosa serve dunque la previsione di un sia pure minimo controllo?
A dimostrare, come ammette lo stesso Piano una “flessibilità” di facciata, furbesca, che non esiste. Servirà solo ad ostacolareun coagulo di consenso intorno alle popolazioni rurali e montanare che si oppongono alla diffusione del lupo contrastando quella erosione del l’accettazione sociale generica a favore di “Grandi predatori” mitizzati che si verifica quando essi si materializzano come problema e minaccia concreta, non di remote “aree marginali” ma di aree con forte densità abitativa. E’ l’effetto che deriva dallo scoprire che i profeti dei Grandi predatori ignorano semplicemente che l’Italia è – nonostante urbanizzazione e stati demografica – un paese con una densità umana superiore di diversi ordini di grandezza agli sconfinati scenari nordamericani dove l’ideologia conservazionista, parchista, grandipredatorista si è sviluppata per essere importata come strumento di colonizzazione culturale e di trasformazione socioterritoriale nel senso gradito ai grandi interessi economici mondiali.
Scienziati francesi con i pastori (contro i lupi)
Pubblicata il 13 ottobre 2014 sul quotidiano francese Liberation e sottoscritta anche da Carlin Petrini, fondatore di Slow Food
(qui l’originale in francese)
Appello perché gli ecosistemi non siano abbandonati dai pastori
I nostri paesaggi emblematici di montagne, colline e paludi sono costituiti di un mosaico di ambienti operato nel corso dei secoli dalle pratiche contadine. La vitalità di questi spazi, sempre più apprezzati dalle nostre società urbanizzate, si degrada velocemente quando non sono più mantenuti e curati per il pascolo delle greggi. Ora, in numerose regioni, le greggi subiscono l’assalto dei lupi. Cosa fare? La gravità della situazione richiede l’adozione di misure di emergenza, sul terreno come nel campo normativo. Giudicati in pericolo di estinzione in Europa, i lupi sono una specie rigorosamente protetta. Nel Grande Nord americano come eurasiano, sono considerati come ” specie chiave di volta” degli ecosistemi, bio-indicatori di una natura tornata o rimasta selvaggia. In Francia, dove la geografia e la storia sono molto diverse, i lupi manifestano il loro comportamento opportunista. Secondo le opportunità, trascurano la loro funzione di “regolatore” degli animali selvaggi, indeboliti o malati, e si attaccano frequentemente alle greggi di allevamento in perfetta salute.
In modo paradossale, è l’allevamento pastorale, una delle nostre agricolture più rispettose della biodiversità, inoltre riconosciuta come produttrice di una varietà di servizi ecosistemici, che i lupi, adornati dello statuto di protezione rigorosa, stanno minacciando di far sparire.
Dal 1992, delle direttive europee si adoperano a promuovere la gestione degli ambienti agropastorali che hanno resistito alle banalizzazione e artificializzazione dei paesaggi per colpa dell’agricoltura convenzionale. Infatti, numerose specie notevoli vi hanno trovato rifugio: coturnìce, pernice, stambecco, gipeto….
I mosaici di prati, lande e prati-boschi, tenuti dal pascolamento, offrono e rinnovano un’ampia gamma di bellezze a chi apprezza anche piante a fiori, insetti, rettili e batraciani. Questa biodiversità è anche domestica, con, tra altre, le pecore raïoles, brigasques emourerous, le capre del Rove e del Poitou, che gli allevatori si danno da fare per conservarle.
Nei parchi nazionali e regionali, nelle riserve e nella natura ordinaria, la preservazione delle biodiversità selvagge e domestiche è un unico e stesso combattimento. La sfida è diventata nazionale. Insediati dovunque nelle Alpi, i lupi hanno ormai raggiunto il Giura, i Vosgi, l’est dei Pirenei, arrivano nell’Ardèche, nella Lozère, nel Cantal e Aveyron, nelle pianure delle Regione Champagne e Lorraine.
Nel 2014, i conteggi ufficiali indicano ventisette branchi di lupi, i due terzi dei quali nelle Alpi del Sud. La popolazione è di 300 lupi adulti, in più di una ventina di dipartimenti francesi, con una crescita di 20% per anno.
Ogni anno, le perdite ufficiali ammontano a venti/venticinque pecore o capre uccise in media da un lupo adulto, ciò è considerevole. Gli attacchi si estendono poi ai vitelli, giovenche, e cavalli. Questi attacchi si svolgono sugli alpeggi, ma anche nelle lande e collinette delle valli, nel sottobosco, e fino sui prati.
Come si è arrivato a questo punto ? Si deve imputare questo flusso crescente delle perdite all’inerzia degli allevatori ? Questo sarebbe far loro una grave ingiuria.
Dal 1994, delle misure di protezione erano proposte agli allevatori e pastori. Questi li hanno attuate. Nelle Alpi, hanno acquistato più di duemila cani di protezione. I pastori si sono assoggettati, per quanto possibile, a riportare ogni sera i loro greggi in parchi elettrificati, degli aiuto-pastori hanno rinforzato le sorveglianze.
Queste misure si sono rivelate efficaci ? Ci fu una tregua tra 2006 e 2009. Ma dopo, da allora, nulla funziona più! Malgrado una protezione aumentata, le perdite si sono raddoppiate in quattro anni. Allevatori e pastori hanno adattato le loro pratiche, ma anche i lupi, cosicché visibilmente essi sono sul punto da prevalere. Malgrado i cani di protezione, i lupi ora attaccano di giorno e di notte. Invece in modo più preoccupante si constata che la presenza umana non li dissuade più. I lupi hanno percepito il loro privilegio di esser protetti tanto da ripetere i loro attacchi senza rischio, compreso vicino alle strade e abitazioni. Questo cambiamento di comportamento era prevedibile.
Negli Stati Uniti, è conosciuto da molto tempo, dentro e vicino ai parchi nazionali, dove i gestori lottano ogni giorno contro gli effetti perversi della protezione integrale delle specie. Incitare la grande fauna a conservare un comportamento selvaggio nei nostri paesi esigerebbe una regolazione di continuo allarme, molto violenta.
Una conclusione si impone: i dispositivi di protezione più elaborati sono stati svalutati in pochi anni. Diverse tecniche complementari sono proposte, razzi illuminanti, generatore di ultrasuoni, droni sonori. Queste tecniche impauriscono sicuramente più le greggi che i loro predatori. I lupi sono intelligenti ed inventivi. La strategia europea di coesistenza delle attività di allevamento con questo grande predatore protetto è fallita, deve essere rimessa in questione. Al di là dei costi finanziari, le sfide ecologiche ed umane si amplificano e rimangono indissociabili.
La Francia si è impegnata presso l’Unesco a preservare i paesaggi culturali dell’agropastorizia delle Causses e Cévennesiscritti al patrimonio mondiale dell’umanità. Nelle Cévennes, come dovunque altrove nell’esagono, il ripiegamento delle attività pastorale provocherà il divenire della boscaglia e la degradazione degli habitat e di una litania di altre specie protette.
Ovviamente, questa prospettiva non richiama allo statu quo: i paesaggi sono viventi, i loro protagonisti non hanno smesso di evolversi. Alcune associazioni che ieri raccomandavano la ” convivenza”, oggi richiedono il ripiegamento dell’allevamento pastorale.
Ma il nostro paese non è il Wyoming ne il Montana. Allevatori e pastori di Francia non meritano di essere squalificati, espropriati. Questi uomini e donne sono appassionati, ispirati dal rispetto del vivente, si sono impegnatati nei mestieri esigenti, modestamente rimunerativi.
Siamo ancora in tempo per ridisegnare un avvenire per queste campagne ? Di impedire l’esclusione e l’emarginazione di contadini che si danno da fare per fabbricare dei prodotti locali di qualità, pure facendo vivere dei paesaggi diversificati ed accoglienti ? Si può ancora incitare i lupi a rimanere ” selvaggi” « facendo loro capire » di conservare la dovuta distanza dalle attività di allevamento?
Le nostre società hanno bisogno di ecosistemi e di paesaggi diversificati. Molti funzionano e si rinnovano grazie al meticoloso lavoro dei pastori ed allevatori. La situazione divenendo per loro insostenibile, è sul punto di perdere il valore straordinario di questo patrimonio di ecosistemi e paesaggi a causa dei lupi. S’impone un nuovo ripensamento dell’intero concetto visione regolazione. È purtroppo già molto tardi. Forse, però, non è ancora troppo tardi.
Firmatari :
Gilles Allaire Economista (Inra)
Gérard Balent Ecologo (Inra)
Olivier Barrière Giurista (Istituto di ricerca per lo sviluppo, IRD)
Claude Béranger Zootecnico (Inra)
Jean-Paul Billaud Sociologo (CNRS)
Jean-Luc Bonniol Antropologo (Università Aix-Marseille)
Anne-Marie Brisebarre Antropologa (CNRS)
Bernard Denis (Scuola veterinaria, Nantes)
Vinciane Despret Filosofo (Università di Liege)
Christian Deverre Sociologo (INRA)
Jean-Pierre Digard Antropologo (CNRS)
Laurent Dobremez Agronomo (Istituto nazionale di ricerca scientifica e tecnologica per l’ambiente e l’agricoltura, Irstea)
Jean-Claude Duclos Etnologo
Laurent Garde Ecologo (Centro studi e realizzazioni pastorali Alpi-Mediterraneo, Cerpam)
Alfred Grosser Professore emerito Sciences-Politique
Laurent Hazard Agroecologo (Inra)
Bernard Hubert Ecologo (Inra et EHESS)
Gilbert Jolivet Veterinario (Inra)
Frédéric Joulian Etologo ed antropologo (EHESS)
Étienne Landais Zootecnico (ex-DG Montpellier SupAgro)
Guillaume Lebaudy Etnologo (Università Aix-Marseille)
Bernadette Lizet Etnologa (CNRS e Museo di Storia Naturale , MNHN)
Michel Meuret Ecologo (Inra)
André Micoud Sociologo (CNRS)
Danielle Musset Etnologa (Università Aix-Marseille)
Pierre-Louis Osty Agronomo (Inra)
Michel Petit Economista (Istituto agronomico mediterraneo di Montpellier, IAM)
Carlo Petrini Sociologo, Fondatore e Presidente di Slow Food International
Xavier de Planhol Geografo (Università Paris-Sorbonne)
Sylvain Plantureux Agronomo (Università di Lorena)
Jocelyne Porcher Sociologo (Inra)
Daniel Travier Etnologo, (Museo delle Valli delle Cevenne)
Pierre-Marie Tricaud Agro paesaggista (Federazione francese dei paesaggi, FFP)
Marc Vincent Zootecnico (Inra).
(1) Il Bocage : un particolare tipo di paesaggio rurale che comprende piccoli boschi, siepi naturali e paludi frammiste a terreni coltivati di forma irregolare recintati, particolarmente presente nelle regioni nord-occidentali della Francia, come in Bretagna o in Normandia, e nel Regno Unito.
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